Sarenco, l’avanguardista semantico, in mostra alla Spezia
Una mostra al CAMeC per riscoprire il variegato lavoro di Sarenco: 200 opere raccontano la pratica di un artista che amava unire la poesia all’immagine
Eclettico artista, poeta visivo e performer, fotografo e regista, editore, autore di libri e organizzatore, ma anche esploratore del mondo e del pensiero: questo è stato Sarenco, al secolo Isaia Mabellini (Vobarno, 1945 – Salò, 2017), che scelse il suo nome d’arte dal biglietto relativo a una ragazza (SAskia Retourne ENCOre). Dopo aver studiato al Liceo Classico a Brescia e Filosofia alla Statale di Milano, inizia a occuparsi di relazioni verbo-poetico-visive nei primi anni Sessanta. Partecipa, tra l’altro, a ben quattro edizioni della Biennale di Venezia (1972, 1986, 2001 con una sala personale e 2011) e a Documenta di Kassel (1972), vantando mostre in sedi prestigiose del mondo.
A ciò che ha rappresentato nell’ambito della ricerca artistica contemporanea rende omaggio la mostra antologica al CAMeC di La Spezia. Il curatore Giosuè Allegrini, ingegnere navale meccanico, ammiraglio poi passato dal Ministero della Difesa a quello della Cultura e docente all’Università di Pavia, ha sapientemente selezionato quasi 200 opere realizzate durante mezzo secolo, con la collaborazione di Oriano Mabellini, che presiede la Fondazione Sarenco a Salò.
Sarenco in mostra alla Spezia
Nel percorso espositivo appare chiaro il concetto di opera d’arte totale abbracciato da Sarenco, un Gesamtkunstwerk che, attraverso collage, assemblage e tele emulsionate, si propone di costruire una nuova società con un’autocoscienza popolare. L’artista si colloca in una linea sintetica dell’arte, tra astratto-geometrica ed emozionale, dove la poesia rimane per lui l’elemento fondante di tutto, uno strumento di lotta.
In apertura, una scultura a portale programmatica: Gedicht macht frei (2002), in cui si proclama che “la poesia rende liberi”. L’allusione all’Olocausto si sposa con la potenza taumaturgica dell’arte, coniugando tragedia e salvezza.
Nella prima sala, la poesia concreta e la parola si strutturano in immagine, come si vede nelle opere Grande strage, realizzata a pennarello; La rivoluzione siamo noi, dittico fotografico con Joseph Beuys, sorta di alter ego di Sarenco; Poetical licence, con la ragazza irlandese, pronta a scagliare una pietra in mezzo ai tumulti in piazza a Belfast, assurta a simbolo della Poesia; Solo, come un poeta, che si fa sciamano per indicarci la strada.
Sarenco artista ironico in mostra al CAMeC
Nella seconda sala, appare l’elemento canzonatorio di Sarenco, quando negli oli su tela del 2001 riprende in maniera spiazzante e con giochi di parole le nature morte di Giorgio Morandi: ad esempio, in Più morta che natura, dove la poesia snatura la morte come elemento di passaggio. Ci sono anche le poesie basate su capolavori del passato, come But does there exist a revolutionary essence of the avantgarde? che rivisita in chiave di fumetto la fucilazione rappresentata da Francisco Goya in Il 3 maggio 1808.
L’installazione centrale, Let’s go to school, qui si compone di 14 “stazioni” di una Via Crucis particolare, con lavagne a cavalletto che assemblano oggetti simbolici e che suggeriscono azioni di opposizione, creatrici e provocatorie, come vademecum della vita.
Alla terza sala è affidato il senso del sillogismo, il ragionamento deduttivo espresso in opere come Le lettere contengono parole. Le parole contengono tutto. Sulla parete di fondo, 13 opere giocano sul tempo in chiave poetica e ironica: basti dire che in Contemporary Art la seconda parola è costruita con un assemblaggio di pacchetti di fazzoletti a marchio “Tempo”.
Nell’installazione di 17 elementi, Il poeta è nudo, Sarenco invita, invece, il visitatore ad aiutare l’arte con un’offerta libera in denaro. La pratica della contrapposizione, ancora una volta, viene esercitata per cambiare il punto di vista.
Sarenco e l’Africa
La quarta sala documenta l’elemento internazionale di Sarenco l’Africano, con un omaggio a un intero continente, tra guerra e poesia, tra armi e farfalle. Il poeta guerriero, il viaggio, il safari, la violenza sulle donne, una terra mitica e misteriosa, le culture animiste: tutte queste componenti sfociano nell’astrazione geometrica delle bandiere (Nuova astrazione internazionale), in un arazzo decontestualizzante che con la sua geografia rimanda a quelli di Boetti, ma anche in serie di assemblaggi diversi su tavole. Notevole è l’omaggio fotografico alle poetesse indigene degli Stati Uniti d’America, Navayo, Comanche, Sioux e Apache.
Antirape singing Masai women rimanda poi a un concetto di consapevolezza di chi sta nella controparte. E l’organizzazione di quattro edizioni della Biennale Internazionale d’Arte di Malindi, in Kenya (2006, 2008, 2010 e 2012), è per il multiprospettico Sarenco l’occasione per lanciare un confronto tra arte africana primigenia e arte occidentale.
Così le sculture allungate come I miei poeti, poste sulle scale del CAMeC, rispondono al richiamo. Apollinaire, Breton, Marinetti e Tsara sono i quattro pilastri di Sarenco: guerrieri della parola, poeti ai quali nulla è precluso, vettori di conoscenza per la mente.
Linda Kaiser
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati