Il contemporaneo secondo Toni Negri. Il ricordo dell’artista Gian Marco Montesano
Storia di un’amicizia e di un dibattito sul presente, sull’arte, il teatro e sul cattolicesimo. Il profilo di un maestro, poi non così cattivo, tracciato da un artista
Un pensiero e una speranza per Toni Negri… Toni cattivo? Perché? E chi, tra gli odiatori che lo hanno sempre afflitto, i tanti e trasversali divulgatori della sua immagine deformata potrà senza vergogna dirsi buono? Non credo che lo possano fare quei portatori di mentalità burocratiche che continuano ad alimentare la damnatio memoriae del “Cattivo Maestro” tentando di cancellare attraverso il discredito il significato vero e la potenza del pensiero di quell’avventuroso “Marx oltre Marx” che ancora una volta ha dovuto andarsene. Verso un esilio forse molto lungo. Dopo questo primo movimento dei pensieri, dopo l’apparire spontaneo del tema dell’esilio, ecco farsi avanti i ricordi. Fino a ieri ricordi spesso ironici, a volte finanche buffi, mai tristi, che oggi, nella mia realtà personale, diventano ombre dolorose.
E mi torna alla mente quella notte parigina trascorsa con un ristretto gruppo di ex PotOp, ridotti ad autonomi fuoriusciti, nel tentativo di convincere Toni a desistere dal proposito di rientrare in Italia per consegnarsi. L’inutile discussione terminò solo dopo l’esaurirsi delle sigarette e la fine dell’ultima bottiglia di Beaujolais. Toni, dopo un breve accenno alla stanchezza dell’esilio, aveva sviluppato, con dovizia di particolari storico-politici il suo progetto strategico, sostenendo che solo questo gesto gli avrebbe consentito di iniziare la campagna per un’Amnistia destinata a tutti i prigionieri politici senza distinzioni tra detenuti e fuoriusciti. All’alba del mattino successivo saliva sull’aereo che lo avrebbe condotto a Roma che, per lui, significava Rebibbia.
Diventammo amici essendomi io, al Convegno di Rosolina (1973), schierato a favore della linea portata da Toni che prevedeva lo scioglimento di Potere Operaio, mentre molti volevano che il Gruppo diventasse Partito. Per Toni si trattava di farla finita con l’esperienza di PO per dar vita all’Autonomia. La nostra fu e resterà un’amicizia politica dal cuore cattolico. Lui con la sua passata militanza universitaria cattolica/socialista, sostanzialmente laica. Lui, che ex allievi della sua cattedra padovana, ancora di recente, definiscono come grande Barone universitario. Io semplicemente artista, cattolico sì ma, certamente non Barone nell’arte. Nei nostri dialoghi privati compariva raramente il passaggio dall’Operaio massa all’Operaio Sociale né, tanto meno, il problema, sempre ricordato nella corrispondenza tra il sovversivo “Cattivo Maestro” e il Presidente “Picconatore delle Istituzioni”, Francesco Cossiga: “Come cambiare l’Italia”.
L’amicizia tra Toni Negri e Gian Marco Montesano
Al contrario. Nella filigrana del discorso saltava sempre fuori l’essenza del nostro problema: il cristianesimo, cattolici d’accordo ma, in definitiva, il problema verteva sul come intendere il cristianesimo oggi.
Questi argomenti emergevano dal profondo ogni qualvolta ci si trovava a parlare d’arte. Mai nominato esplicitamente, questo “modo di sentire il mondo” aleggiava su tutte le considerazioni estetiche. E questo tema, nascosto dalle parole teoriche, costituiva una sorta di Ursprung, di scaturigine del pensare di Toni. Il paradosso dei nostri dialoghi era proprio questo: lui, cattolico che non cercava altra salvezza se non nel sociale; io, cattolico non socialista, interno all’Ecclesia, rimproveravo a lui di trasferire nel mondo finito la Verità e la Speranza, possibili solo per un pensiero rivolto all’Infinito. Trasponendo la questione in filosofia potremmo dire un Péras che incorpora e annulla. Lui mi indicava come il Reazionario che, per orientare il mondo fa discendere la verità dal cielo.
Dibattito tra rivoluzionari? Non credo. Piuttosto una schermaglia teologica: infatti, in gioco non c’era la riconquista operaia dello Stato ma il rapporto tra Vecchio e nuovo Testamento.
Il libro Arte e Multitudo
La Eco di queste dispute la si può trovare nella prima lettera di Arte e Multitudo, libro che Toni compone in forma di dieci lettere scritte ad altrettanti amici. Nella prima lettera, essendo dedicata a me, Toni apre subito, riprendendola, la polemica sulla verità. Polemica che non sarebbe pienamente comprensibile senza il ricordo delle precedenti discussioni riportate sopra. Non fui mai in accordo con quel libro, certamente non sul piano delle analisi condotte sulla realtà del contemporaneo, quanto piuttosto per quel che riguarda gli esiti e la soluzione che Toni prefigura.
Sostanzialmente non potevo accettare la connotazione positiva che viene prestata al termine Multitudo. Un termine spinoziano che, in questo nostro “Contemporaneo” assume un significato piuttosto equivoco. Non è questa un’obiezione semplicemente lessicale: multitudo, populus, plebs, sono distinzioni che proprio nei tempi della sussunzione reale, cioè del capitalismo compiuto, si unificano in una sola parola: vulgus. l’ottimismo che toni appoggiava su Spinoza per una sua propria necessità di coerenza filosofica, per me non aveva più nulla a che vedere con un’analisi riferibile né al materialismo marxiano né alle molteplici istanze sociali del cattolicesimo. Piuttosto avvertivo qui il recupero della forza vitale degli aspetti utopici propri del giudaismo biblico, dunque l’universalizzazione di quelle istanze bibliche di libertà, giustizia e fraternità da scoprire e far coincidere coi nostri tempi.
Ecco affiorare nel mare magnum del nostro conversare sull’arte uno scoglio teorico. Scoglio composto da terribili antinomie, un durissimo scoglio per altro già avvistato in precedenti occasioni. Comunque, l’ostilità di entrambi non si indirizzava contro il Moderno quanto piuttosto verso il cosiddetto Contemporaneo.
Toni mi parlava di un passaggio dal moderno al postmoderno. Io sostenevo l’esaurirsi del moderno e il suo trapassare direttamente in quel “contemporaneo” che non indicava più una realtà semplicemente cronologica ma la definizione di uno stilema totalitario. La svolta linguistica, il linguistic turn, come immersione completa nell’assenza di katà métron, l’impossibilità della misura, questa unione di hybris e nichilismo nasce dall’assenza – rifiuto – della memoria, da una tabula rasa ontologica.
Il dibattito sull’Ideologia del Traditore di Bonito Oliva
Avendo messo in scena il libro di Achille Bonito Oliva L’ideologia del traditore, ignorando la nascente attrazione che Toni sentiva per il teatro, così come ignoravo che aveva letto il libro, gli avevo incautamente dato la ripresa video dello spettacolo. Dopo aver visionato il video, toni mi rendeva responsabile di una sorta di lesa maestà verso Sua eminenza il testo scritto.
Achille, infatti, tracciando un percorso politico ed esistenziale che allude chiaramente alla nostra contemporaneità, esamina la figura dell’Intellettuale/Artista alle prese con le pericolose peripezie che costituiscono la vita di colui che la professione costringe a doversi destreggiare per sopravvivere alla corte del sovrano. Pur notando criticamente, che L’ideologia del traditore presenta solo la posizione di quello che oggi diciamo Intellettuale organico (al potere e ai partiti che ne sono l’articolazione) tralasciando le figure radicalmente antagoniste, Toni riconosceva, apprezzandolo, il timbro di drammatica amarezza dello scritto di Achille… timbro o colore che io avrei “tradito” mettendo in piedi uno spettacolo divertito, una sorta di parodico avanspettacolo.
Al Toni critico che fu inutile dire che Achille aveva apprezzato lo spettacolo divertendosi lui stesso e che io, evitando di trasferire sul palcoscenico una sorta di conferenza storico/teorica che si sarebbe adagiata sulla platea come una coltre di sonnacchiosa noia, avevo solo cercato di non tradire il pubblico. Inutile: il testo di Achille affrontava un tema amaramente drammatico e non s’aveva da fare in chiave ironica.
Le cose non andarono meglio sul versante delle arti visive.
Queste nubi tempestose annunciavano il Temporale che di lì a poco si sarebbe scatenato concentrandosi sulla controversia originata dal titolo di una mia mostra di piccole statuette, o “statuine”, come le chiamava lui, di un presepe paradossale. Su Toni, che stava covando “Arte e Multitudo” quel titolo fece l’effetto di un blasfemo. Popolo Coccio, questo il titolo.
Quella parola riferita alla sostanza delle “Statuine”, la terracotta, portò subito il dialogo a coinvolgere la negatività del Pensiero Debole che sostanzia il Contemporaneo.
(A memoria non posso garantire che le parole dette fossero esattamente quelle e in quell’ordine preciso ma sicuramente lo spirito che animava quelle parole e l’intero dialogo è esattamente quello che cerco, dopo tanti anni, di restituire qui).
Un dialogo tra Gian Marco Montesano e Toni Negri
Sul piccolo tavolo al quale eravamo seduti, occhieggiava la pietra dello scandalo: la copertina di non ricordo quale rivista d’arte sulla quale, senza pudore, facevano mostra di sé le equivoche “Statuine”. Toni aprì la conversazione puntando l’indice su quelle immagini:
- E queste cosa sono? Che roba è?
- Statuette di una Mostra.
- Ti sei messo a fare anche lo scultore?
- Per l’amor di Dio no. Volevo solo vedere che effetto fanno i miei soggetti dipinti una volta realizzati in terracotta. Ma lo so, non sono molto …come dire…molto professionali.
- E, per farla tutta, le hai chiamate Popolo Coccio, c’è scritto così…o sbaglio?
- No, no… Popolo Coccio.
- Ah, bene, di bene in meglio… il Popolo sarebbe Coccio?
- No, le “Statuine” sono di coccio, sono terrecotte.
- Ma dai, anche tu adesso ti metti a fare queste inezie? Da quando ti sei adeguato al Contemporaneo? Fino a ieri dicevi che il grande pensiero, la grande arte è necessariamente inattuale… Da nietzschiano alla Chienlit di Degaulliana memoria… nel frattempo cosa ti è successo?
- Mah… non so. Questa però non è una Chienlit, una mascherata. Difficile trovare qualcosa di più inattuale di queste Statuine. Fuori tempo, controtempo. Non ieri, oggi o domani. Oltre.
- Ma per favore… oltre cosa? La soggettività capricciosa? Vale a dire oltre l’inconsistenza di un pensiero vuoto mascherato da unica realtà del mondo?
Così uno si mette a fare il barattolo di merda, l’altro scopre che scrivere qualche fesseria personale su una tela significa esprimersi concettualmente, cioè filosoficamente…e tu? L’ex “guardiano dell’Episteme” ti metti a fare le Statuine…. stupidine ma, per tua fortuna, non sono professionali, non le sai fare, sono sgrammaticate, così si può dire che sono veritiere e ti puoi salvare rifugiandoti nella retorica dell’espressione, nella retorica bieca delle tripes, l’esibizione delle viscere, dell’istinto. Autenticità dell’espressione…. del Nulla. Ma poi vuoi rimediare con un titolo impegnativo.
La storia della mostra Popolo Coccio
Popolo Coccio… perché le Statuine sono di terracotta che poi, secondo te, questo sarebbe un titolo a suo modo ontologico, per non dire aristotelico… lasciamo perdere. Non potevi escogitare qualcosa di più demenziale e Contemporaneo! Era meglio quando eri un Reazionario con le palle che brandiva la Rivoluzione Conservatrice contro il dilagare del Nulla Contemporaneo. Non ci credeva nessuno ma era comunque un’ipotesi interessante, piena di qualcosa, come il discorso ripreso da Huysmans “A Rebours” che non vuol dire solo a ritroso ma, per logica conseguenza dell’andare all’indietro, anche e soprattutto controcorrente, nel verso contrario.
- Questo implicava la critica dell’ideologia cieca di un progresso indeterminato.
- E questo era l’aspetto più interessante, problematico ma forte, infatti allora, nel presentare una tua mostra a Roma, se ricordo bene forse da Pio Monti, ti dicevo che i rivoluzionari hanno molto da imparare da certi reazionari. Sono stato onesto verso il tuo modo di pensare la complessità del tempo.
- Vero.
- Dunque, adesso, con la stessa onestà, ti chiedo di tirarti fuori dall’inconsistenza del Contemporaneo. Riprendi ad andare a Rebours, lascia perdere le stupidaggini, a cosa servono le Statuine di uno pseudo Presepe?
Tanto non ce la farai mai ad andare contro il tuo essere. E loro lo sanno.
Non c’è niente da fare, se non sei nato come loro non lo sarai mai.
Guarda me, dicevano che ero un Barone Universitario e nel concreto del sapere ne avevo le carte in regola. Ma il mio essere non poteva dialogare con loro. Guarda la fine che ho fatto. Non mi riferisco alla carriera che ho sabotato io volontariamente, no. Sono gli insulti, l’ottusità feroce che mi circonda, quel “Cattivo Maestro” come un dogma cretino ripreso e ripetuto da tutta la vuota e insensata canea d’Italia…
Toni Negri, il cattivo maestro
- Dimentica questa gente, ricorda Spinoza: “Non ridere, non lugere neque detestari sed intelligere”. Non ridere, non piangere né detestare. Cerca solo di capire. E tu, “Barone Universitario” possiedi gli strumenti di ragione per farlo.
- nè barone e tanto meno maestro di nessuno, sono solo un ex carcerato fuggito in esilio…. finirò col collezionare una decina d’anni di galera, molti dei quali nelle carceri speciali. Ma non basta, secondo il loro moralismo peloso, in carcere avrei dovuto morire. Questo non potevo accettarlo e.… sono diventato un cattivo maestro, peggio ancora, in fuga.
- Forse le Statuine stupidine, piuttosto che farti incazzare potrebbero farti sorridere.
- Forse… se non fossero quel che sono: un adeguamento al Pensiero Debole, al negativo Contemporaneo. Difficile sorridere, probabilmente si tratta di Lugere.
- Poverette, malcapitate statuine, diventate emblema della crisi…
- Succede… può capitare quando, anche solo per fatica, si smette di andare al contrario, a Rebours e ci si abbandona al senso-insensato della corrente.
Ma, un senso nuovo e positivo si annuncia, almeno per te, artista: Arte e Multitudo. Così per un Nulla venduto come fosse qualcosa, è cominciato il conto alla rovescia. E, il Countdown è sempre un conto alla rovescia di qualcosa. É un conto militare.
- Ahi….
- Ahi cosa? Perché ahi?
- Beh, insomma… non è che sia andata molto bene….
- Chi te l’ha detto? Si tratta solo di insistere, di continuare A Rebours.
- Ma … una volta si cantava: Avanti, avanti il gran Partito....
- Infatti, e quella volta è andata male…. Quella volta!
Il ricordo di Toni Negri
Ma questa volta non ricordo più come finì il dialogo. Ricordo solo che su di noi pesava la melanconia. Finimmo, credo, per rilanciare una improbabile speranza o, forse, soltanto l’ottimismo utopico che ci aveva sostenuto negli ultimi, difficili, tempi. Parlammo di teatro. Io, Statuine a parte, e pittura in quei tempi quasi abbandonata, scrivevo e mettevo in scena i testi con una compagnia. Lui si stava avvicinando sempre più al teatro, così ci si rivelò il proposito di fare qualcosa insieme.
L’incontro si concluse con una cena, che noi volemmo come un Grand-Galà enogastronomico alla Coupole di Montparnasse.
In definitiva sapevamo anche vivere.
Qualche giorno fa, mentre tu uscivi di scena io, trattenendo a fatica il dolore che voleva uscirmi dagli occhi, inauguravo una mostra a Modena da Emilio Mazzoli. Al mattino mi era stato detto che te ne eri andato.
Ora, il nostro teatro che fu, oltre la scena, teatro di qualità, si è chiuso per sempre.
Oggi qui a Parigi: une Gillardeau, un verre de Cristal ….et merde!
Au revoir mon ami.
Gian Marco Montesano
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