A Roma la mostra di un giovane artista e il suo omaggio ad uno storico artista

L’artista Alessandro di Pietro propone un distopico omaggio a Paul Thek, stravagante e tormentato artista americano scomparso negli Anni ’80. In mostra alla Fondazione Del Roscio

Michele Mari, nella sua opera I demoni e la pasta sfoglia, sottolinea come per alcuni artisti l’ossessione rappresenti non solo il tema principale delle proprie opere, ma anche la fonte primaria d’ispirazione. È il caso di Paul Thek (1933-1988), di cui l’artista Alessandro di Pietro (Messina, 1987) si appropria, immaginando cosa egli avrebbe potuto produrre se fosse stato ancora in vita. Un fantasmatico progetto sostenuto dell’Italian Council a cura di Peter Benson Miller e Cornelia Mattiacci.

Chi è Paul Thek

Ghostwriting Paul Thek: Time Capsules and Reliquaries è il titolo della mostra. Cinque installazioni, un dipinto e un’opera video disegnano una manovra ardita che fa i conti con le dinamiche dell’appropriazione e della fiction nella quale Alessandro Di Pietro si pone come ghostwriter non interpellato. Entro una micro-epopea dove a restare protagonista è un defunto.
L’eterogeneità della ricerca dell’artista americano ha contribuito ad arricchire l’alfabeto del linguaggio contemporaneo dell’arte. Un dato che si registra chiaramente negli esiti “formali” di artisti anche appartenenti alle ultime generazioni; attraverso questo progetto ho provato a restituire a Thek qualcosa che gli appartiene”, commenta Di Pietro, sognando che fra trecento anni le proprie opere siano attribuite al collega americano. Ma cosa della mostra appartiene davvero a Paul Thek? Si tratta di un gioco che apre molte finestre a proposito di sovversione, intersoggettività, transfert, riproducibilità.

Alessandro Di Pietro, BR’ER RABBIT, (Attributed to Paul Thek, 1998)
Alessandro Di Pietro, BR’ER RABBIT, (Attributed to Paul Thek, 1998)

L’interpretazione secondo Paul Thek

Chi non conosce Paul Thek non può comprendere nulla. A meno di non concedersi alle varie pratiche di decostruzione critica che spostando l’attenzione sull’irriducibilità dell’opera, la trasformano in puro stimolo per la deriva interpretativa. D’altronde già a partire dal Rinascimento, nel clima dell’ermetismo neoplatonico, si cercò di definire un’opera d’arte come potenzialmente aperta a tutte le interpretazioni possibili. 
E fu proprio Paul Thek, re del camp e del macabro, a dire: “sono contrario all’interpretazione”, ispirando il saggio dell’amica Susan SontagAgainst Interpretation (1966).
Tuttavia, a chi invece conosce le stravaganze dell’americano scomparso prematuramente a causa dell’AIDS, l’esposizione potrebbe apparire come una cassa di risonanza, ludicamente lugubre, con effetto di normalizzazione e di appiattimento.

Francesca de Paolis

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Francesca de Paolis

Francesca de Paolis

Francesca de Paolis si è laureata in Filologia Moderna con indirizzo artistico all'Università La Sapienza di Roma proseguendo con un Corso di Formazione Avanzata sulla Curatela Museale e l'Organizzazione di Eventi presso l'Istituto Europeo di Design (IED). Ha insegnato Storia…

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