Agostino Bonalumi in mostra a Torino per celebrare i 10 anni dalla morte

La torinese Galleria Mazzoleni dedica una retrospettiva a uno dei maggiori artisti italiani del dopoguerra, indagandone anche i rapporti con l’universo del teatro

È stata prorogata fino al 17 febbraio la mostra personale di Agostino Bonalumi, intitolata Il Teatro delle Forze e curata da Marco Scotini negli spazi della Galleria Mazzoleni a Torino, in occasione dei dieci anni dalla morte dell’artista. Si tratta di una retrospettiva inedita; una celebrazione del suo lavoro, più che un ricordo, in collaborazione con l’Archivio Bonalumi di Milano.

La mostra di Bonalumi a Torino

Oltre alle opere plastiche di grandi dimensioni, imprescindibili quando si cita l’arte di Bonalumi (Vimercate, 1935 – Desio, 2013) che ha attraversato quasi un secolo di storia, agli spettatori è data la possibilità di vedere una serie di documenti originali e bozzetti grafici. Note importanti per comprendere meglio l’operato dell’artista, riconosciuto oggi a livello internazionale. 
Il focus, voluto e allestito da Scotini, è in particolare rivolto a una delle stagioni più felici dell’attività creativa di Bonalumi (dalla fine degli Anni Sessanta fino agli Anni Settanta), a partire tuttavia da due lavori meno studiati della sua intera produzione artistica “che necessitano di un approccio multidisciplinare per essere esplorati nella loro complessità”: le scenografie e i costumi concepiti per il balletto Partita, andate in scena rispettivamente al Teatro Romano di Verona nel 1970 e al Teatro dell’Opera di Roma nel 1973. 

Agostino Bonalumi e il teatro

Da qui, la comprensione immediata del titolo scelto per la personale di Agostino Bonalumi: Il Teatro delle Forze. Riferendosi alla cosiddetta macchina teatrale, in senso oggettivo ma anche proprio dell’astrattista, il quale sin dagli esordi visitava lo studio di Enrico Baj, frequentando l’onnipresente Lucio Fontana, il concettuale Piero Manzoni e il padre del minimalismo Enrico Castellani – come lo definisce Donald Judd –, allude alle forze plastiche che ogni opera “esibisce e formalizza”. Accade nei suoi ambienti, presentati nel corso di varie personali in passato, come, ricorda il curatore, Blu Abitabile e Ambiente Bianco (entrambi del 1967) segnano non solo uno spostamento dimensionale dell’opera dell’artista, ma anche un cambio paradigmatico nella spazialità in cui si trova immesso l’ospite in visita.
Una mostra ricercata, studiata in maniera empirica. Un’enciclopedia tridimensionale, interamente dedicata a uno degli artisti più importanti del secolo scorso. Minimalista, certo, ma altrettanto grande, grazie all’effetto coinvolgente delle sue opere, sia a livello concettuale che sensibile. 


Ilaria Introzzi

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