L’arte in ostaggio in difesa di Assange: l’artista Andrei Molodkin minaccia di distruggere 16 capolavori
Da Rembrandt a Picasso, a Kounellis. Il tesoretto riunito dall’artista russo in un caveau nel sud della Francia vale 40 milioni di dollari. E sarà sciolto nell’acido se il fondatore di Wikileaks, per cui si attende a breve la sentenza di estradizione, dovesse morire in carcere
Andrei Molodkin non è nuovo alle provocazioni. Nell’autunno 2023, per denunciare gli abusi sessuali all’interno della Chiesa cattolica, l’artista russo realizzò un’installazione con sangue umano, raffigurante lo stemma del Vaticano, con l’intenzione di proiettarla alle porte di piazza San Pietro. Dinamica non dissimile dal processo di realizzazione della scultura contenente “sangue radioattivo” di persone nate a Nagasaki, presentata alla Casa Bianca in occasione del 77° anniversario delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, lo scorso agosto. Tra i suoi lavori più celebri, contro la guerra che oppone Russia e Ucraina, nel marzo 2022, Molodkin ha realizzato un ritratto di Vladimir Putin con il sangue dei soldati ucraini (Putin Filled with Ukrainian Blood), proiettandolo in video in giro per il mondo, da Londra a Pisa, dove la performance è stata accolta sulle pareti del centro museale SMS nel febbraio 2023.
Nato a Boui, un villaggio a nord di Mosca, nel 1966, oggi Molodkin vive e lavora a Parigi. Nel 2009 ha rappresentato la Russia alla 53esima Biennale d’Arte di Venezia; e le sue opere sono state esposte in numerosi musei europei e americani. Sangue umano e petrolio sono tra i materiali organici ricorrenti dei suoi lavori, installazioni concettuali che anche attraverso l’uso della tecnologia mirano a denunciare le storture della società contemporanea e gli abusi di potere di un sistema politico ed economico che mira al profitto e alla supremazia, a scapito della democrazia.
Andrei Molodkin in difesa di Julian Assange
Le sue provocazioni, dunque, non sono mai fini a se stesse. E sull’idea che oggi “la voce della cultura sia più determinante di quella dei politici” poggia anche l’ultima, scioccante iniziativa dell’artista russo, stavolta in difesa dell’attivista e giornalista australiano Julian Assange, cofondatore di Wikileaks, dal 2019 in carcere a Londra, in attesa di una decisione – prevista per il 20 e 21 febbraio 2024 – sulla richiesta di estradizione negli USA, dove sarebbe processato per aver divulgato documenti secretati e potenzialmente scomodi per il sistema governativo americano, riguardanti crimini di guerra. Assange, accusato di cospirazione e spionaggio dagli Stati Uniti, è diventato il simbolo di un movimento internazionale in difesa della libertà di informazione e di espressione del pensiero: per il suo rilascio si sono attivate organizzazioni per i diritti umani e istituzioni internazionali, e in vista della sentenza di appello definitiva da parte della Corte Suprema di Londra, Amnesty International ha promosso una mobilitazione globale, sostenuta anche dalla moglie ed ex avvocato dell’attivista, Stella Assange. Negli Stati Uniti, Assange sarebbe condannato a scontare 175 anni di carcere. E a suo modo, anche Molodkin ha deciso di sollecitare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla vicenda, con il progetto Dead Man’s Switch.
Il progetto Dead Man’s Switch e le opere d’arte in ostaggio
In una cassaforte custodita nel suo “rifugio” francese sui Pirenei, l’artista russo “tiene in ostaggio” 16 opere d’arte ricevute in dono da artisti e collezionisti, per un valore stimato di 40 milioni di dollari. Tra queste, lavori di Picasso, Warhol, Rembrandt, Andres Serrano, Sarah Lucas, Santiago Sierra, Franko B (l’artista italiano ha consegnato personalmente una sua opera, come pure Serrano), Jannis Kounellis. La Galleria Giampaolo Abbondio di Todi, che rappresenta Molodkin in Italia, ha fornito un’opera di Picasso, appoggiando il progetto dopo un primo tentennamento. Se Assange dovesse morire in prigione, spiega Molodkin, il tesoretto raccolto con la complicità di chi – consapevole del progetto – ha fornito le opere sarebbe distrutto nel giro di un paio d’ore, attraverso una detonazione chimica innescata dall’artista nel caveau, che scioglierebbe i lavori nell’acido. In caso contrario, la liberazione del fondatore di Wikileaks porterebbe all’immediato “rilascio” delle opere, che rientrerebbero nelle rispettive collezioni. Mentre resterebbe tutto com’è, se la detenzione sul suolo inglese dovesse prolungarsi. Di “art shield” (scudo artistico), in luogo del canonico scudo umano, ha parlato Stella Assange, sostenendo l’iniziativa, messa in atto in un Paese, come la Francia, che riconosce agli artisti il diritto morale di opporsi alla distruzione delle proprie opere.
Distruggere opere d’arte è una buona idea?
La critica inglese, invece, si divide: a chi, come Julian Stallabrass, legge l’idea come una legittima reazione all’impotenza dell’artista – costretto ad attingere “alla cosa più preziosa a sua disposizione” – davanti alla politica, si contrappone il parere di chi considera l’operazione un attacco poco originale, fondato sul principio che “l’arte è meno importante della vita”. A sostenerlo, sulle pagine del Guardian è Jonathan Jones, che stigmatizza “il cliché della violenza contro i capolavori dell’arte”, accostando il gesto di Molodkin alle incursioni degli ambientalisti nei musei di tutto il mondo: “L’idea che attaccare l’arte sia sempre un atto progressista si fonda su una mitologia grossolana”, spiega l’editorialista del quotidiano inglese, che sottolinea, poi, la distanza morale tra analoghe digressioni dadaiste del passato e l’iniziativa dell’artista russo. Di certo, il progetto sta suscitando dibattito, come nelle intenzioni di Molodkin, che ha pure inviato una lettera alla Casa Bianca, con l’aiuto di negoziatori di ostaggi professionisti. Per conoscere il destino delle opere, invece, bisognerà attendere la sentenza, anche se l’artista si dice fiducioso che nulla sarà distrutto: “Il mio obiettivo è portare a riflettere sul fatto che distruggere la vita delle persone non desta tanto scalpore quanto distruggere l’arte, considerato un grande tabù nel mondo“.
Livia Montagnoli
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