Lo spazio e il tempo di David Lamelas in mostra a Bolzano
Alla Fondazione Dalle Nogare una mostra mette in dialogo il pioniere argentino dell’arte concettuale con i suoi maestri del passato. Da Sol LeWitt a Fontana
Alla proposta di fare una mostra, David Lamelas risponde ai curatori Andrea Viliani e Eva Brioschi: “I have to think about it”. Questo è il titolo, autoironico quanto programmatico, della prima retrospettiva italiana che la Fondazione Dalle Nogare di Bolzano dedica all’artista argentino, classe 1946. Uno tra i più eclettici protagonisti dell’arte concettuale.
Alla fine degli anni Sessanta, la sua pratica si sposta da una scultura di influenza pop verso una metodologia più concettuale, basata sull’appropriazione di tecnologie della comunicazione di massa, allo scopo di “portare l’arte fuori dall’oggetto” e indagare le strutture di spazio e tempo. Tuttavia, l’approccio di Lamelas non raggiunge mai la radicalità immateriale di certe esperienze americane, ma si muove con leggerezza e forte piglio ironico in una pratica diffusa, che contempla installazione, fotografia, video, performance, scultura, disegno, opere sonore e testuali.
La mostra di David Lamelas a Bolzano
La retrospettiva occupa capillarmente tutti gli spazi della Fondazione – ascensore e scale comprese – e si protrae per un anno, senza intervalli. Accoglierà anche riallestimenti e incursioni di performance e concerti. Il percorso espositivo si apre con Gente di Milano del 1970, realizzato per la sua prima esposizione in Italia alla galleria milanese di Françoise Lambert. Nello spazio di un minuto, Lamelas registra in un video a camera fissa il traffico di persone e automobili; allo stesso tempo scatta undici fotografie a intervalli regolari: il tempo continuo del video si giustappone al tempo frammentato della fotografia, portando nel contesto espositivo uno sguardo parziale e disinteressato sulla città.
Le opere di Lamelas alla Fondazione dalle Nogare di Bolzano
Al primo e al secondo piano, Lamelas decostruisce il formato della retrospettiva, intreccia le cronologie e si presta ad un rapporto serrato e complice con le opere della collezione. Il suo lavoro incontra quello degli artisti che gli sono stati compagni di strada nella stagione concettuale – come Sol LeWitt, Robert Barry, On Kawara e Douglas Huebler – o importanti punti di riferimento, primo su tutti Lucio Fontana, anche lui argentino di spirito nomade. Di grande intensità è la sala dedicata alle opere storiche di Alighiero Boetti, Giovanni Anselmo, Emilio Prini, Giulio Paolini e Luciano Fabro, il cui lavoro Impronta del 1964 è “segnalato” da Lamelas con venti lastre di marmo disposte in maniera circolare sul pavimento (Segnalamento, 2014).
Nel teso clima politico del 1968, il ventiduenne Lamelas rappresenta l’Argentina alla Biennale di Venezia con Office of Information about the Vietnam war on Three Levels: The Visual Image, Text and Audio. Dietro una partizione di vetro allestisce un elegante ufficio firmato Olivetti, a intervalli regolari una ragazza legge in diretta i bollettini sulla guerra ricevuti dall’agenzia ANSA: il tempo dell’esposizione è sincronizzato al tempo della cronaca. L’installazione – acquisita nel 2012 dal MoMa di New York – è riproposta a Bolzano insieme agli scatti di Ugo Mulas, in una versione ibrida che ci interroga sulle modalità in cui l’informazione è mediata e astratta dalla realtà.
L’ultimo piano della mostra di David Lamelas a Bolzano
All’ultimo piano, i due lavori Conexión entre un semicírculo y un punto (1987) e Situación de un círculo (2018-2023) si relazionano allo spazio architettonico della sala, caratterizzato da una grande parete ricurva che segue l’inclinazione della collina. Le due opere nascono entrambe da un segno tracciato a pastello sulla parete per aprirsi tridimensionalmente nello spazio rispettivamente con uno spago e con un anello in ferro. Chiudono il percorso una serie di tele di piccolo formato realizzate alla fine degli anni Ottanta durante la frequentazione di una comunità di artisti-surfisti a Los Angeles. Questi dipinti, esposti per la prima volta, testimoniano un momento di felice crisi prima di riprendere la ricerca intorno al tempo e allo spazio.
Simone Salvatore Melis
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