Può un artista concettuale andare in pensione? Giovanni Morbin in mostra a Bologna
Il body artist Giovanni Morbin presenta una riflessione sulla funzionalità degli strumenti, e sul ruolo dell’uomo, che sin dalla preistoria ha imparato a maneggiarli
Cosa vuol dire essere indispensabile? E cosa succede all’oggetto (ma anche all’uomo) una volta che perde la sua funzione? In una riflessione personale ed esistenziale sull’utilità, il body artist Giovanni Morbin mette in mostra i suoi strumenti “defunzionalizzati”: oggetti che hanno perso la loro funzione, che apparentemente non servono più a nulla, ma che tuttavia servono nuovi scopi surreali e più elevati. Fino al 25 febbraio, al Museo Civico Archeologico di Bologna, va in scena la personale Giovanni Morbin Indispensabile.
Come gli oggetti da lui concepiti, anche l’artista è alle prese con la perdita della sua funzione, dal momento che, compiuti i 67 anni, si confronta con la realtà della pensione dal suo impiego come insegnante dell’Accademia di Belle Arti di Verona. Ma può un artista concettuale andare in pensione? E come? Smettendo semplicemente di pensare? In fondo, come sottolinea sagacemente l’artista, “l’arte non serve a niente ma l’umanità non ne può fare a meno“.
La mostra di Giovanni Morbin al Museo Archeologico di Bologna
Il Museo Archeologico si presenta immediatamente come il luogo espositivo ideale, in quanto legato alla dimensione del fare arcaico, alla manualità degli utensili utilizzati dall’uomo sin dalla Preistoria. A cura di Daniele Capra, la rassegna si compone di circa 50 lavori realizzati dalla metà degli Anni Ottanta a oggi, arricchiti dalle perfomance che si terranno nel corso del tempo. Il percorso espositivo si articola nei due piani del museo: al primo piano, una selezione di opere che evidenziano la fascinazione di Morbin per gli oggetti insoliti, in grado di espletare funzioni puramente concettuali.
La performing art di Morbin
È il caso di Strumento a perdifiato (1996), curioso strumento musicale in ottone dalla forma circolare, che dalla bocca arriva dritta al proprio orecchio: questo perché “se siamo un corpo unico con l’universo”, spiega l’artista, “parlare a se stessi equivale a parlare all’universo e parlare all’universo significa parlare a se stessi”. Al piano superiore, come “intrusi” contemporanei nelle teche dei reperti archeologici, troviamo il clou della mostra, la serie dei Germogli. Si tratta di frammenti di pietra o mattone da cui “fioriscono” dei pollici, simbolo dell’opponibilità che, consentendo all’uomo di maneggiare gli strumenti, ha determinato l’intera evoluzione della specie. Il dito in questione, generato da un calco del corpo del performer, è composto di una mistura della stessa pietra a cui è ibridato, mescolata al sangue dell’artista. Si tratta di ibridazioni, ovvero “delle azioni che conduco in partnership con un’altra entità, che a volte è minerale, altre volte animale, altre vegetale. E nello scambio performativo le due entità hanno pari dignità”, spiega Morbin.
Laura Cocciolillo
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