Luigi Bartolini e la sua poetica del colore a Macerata
Ritratti introspettivi, colori d’ispirazione fauve, e un effetto drammatico che lasciò senza fiato Eugenio Montale. Questo è ciò che racconta la mostra ai Musei Civici di Macerata
Con i suoi brillanti ritratti, Luigi Bartolini (1892-1963) introduce il pubblico verso un immaginario perturbante che scava nell’interiorità nella fragilità, nelle costrizioni
della vita psicologica. È quanto si intende subito nella mostra allestita ai Musei Civici di Macerata. Un percorso che invita a riscoprire la produzione dell’artista nel suo rapporto con il colore.
Le influenze del Novecento nelle opere di Luigi Bartolini a Macerata
Il linguaggio di Bartolini subisce il fascino della pittura di Filippo De Pisis, Renato Guttuso e della novità espressive della Scuola di via Cavour. “La predilezione per linee essenziali e colori vivaci, resi con pennellate larghe e cariche di materia, rivela” – come racconta il curatore Manuel Carrera – “una profonda conoscenza della pittura internazionale. L’attitudine fauve di Bartolini si riscontrerà anche nei dipinti eseguiti nei decenni a seguire, a riprova di un’ostinata ricerca di coerenza”.
La mostra di Luigi Bartolini ai Musei Civici di Macerata
Dopo lo spazio dedicato a ritratti come la Armanda (1914) e la Camera di Anna (1914), una sezione mostra la sua poetica tra il reale e il fantastico.
Da un lato, dunque, la pittura lirica negli Anni Quaranta, dove si nota una virulenta presa di possesso della realtà. Dall’altro, il sentimento dell’autore per l’introspezione che si rispecchia nella natura morta. Il denso effetto drammatico con cui dipinge oggetti o pesci è tale, da essergli valso il plauso di Eugenio Montale per un quadro inviatogli dall’artista.
Nella sezione Brani di vita, invece, si vedono i dipinti di una nuova stagione poetica che raccontano fatti della vita di periferia delle grandi città, momenti della vita in campagna e di personaggi “vagabondi” come gli attori del circo.
Bartolini crea uno spazio poetico dove gli oggetti sono in dialogo con un mondo quasi sommesso e uniforme. “Ho goduto anche quando ho inciso i topolini morti, le spine di pesce, le farfalle imbalsamate: le cose le più maldestre per gli altri, per me costituirono dei poemi che, ripeto, mi sollevarono in paradiso”.
Andrea Carnevali
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