La mostra intima e fantasmagorica di Marisa Merz a Napoli
Negli spazi della Galleria Thomas Dane, le opere della grande artista torinese si rivelano in tutta la loro profondità, in dialogo con la luce e con la storia dell’arte
Abitate da fantasmi. Così Douglas Fogle ha definito le opere di Marisa Merz (Torino, 1926 – 2019), elusiva e misteriosa rappresentante dell’Arte Povera al femminile.
Custode di un mondo intimo e magico, Marisa vive l’arte in una dimensione intima rispetto a suo marito Mario ma densa di significati, affidati a dettagli di volti tratteggiati a matite con poche linee o modellati in creta con gesti misurati. Volti molto simili ma mai identici, non ritratti né autoritratti ma archetipi, icone di una contemporaneità che cerca radici arcaiche, sempre in bilico tra identità pubblica e privata. Nessun proclama per Marisa, ma piuttosto sussurri e silenzi, affidati a pochi oggetti concepiti quasi come amuleti o talismani familiari.
La mostra di Marisa Merz da Thomas Dane
Rare le occasioni espositive per Marisa, ma negli ultimi decenni sempre più rilevanti, oltre a riconoscimenti da parte di istituzioni italiane come il Madre di Napoli nel 2007 e il Leone d’Oro alla Biennale nel 2013, seguiti dall’antologica al Metropolitan di New York nel 2017.
Oggi, dopo diciassette anni, Napoli la accoglie di nuovo nella luminosa sede della Galleria Thomas Dane, in un dialogo rarefatto con la storia dell’arte, dall’oro delle icone bizantine e dei mosaici medievali alla cera delle sculture di Medardo Rosso.
Negli ambienti essenziali della galleria, che ha sede all’interno della Villa Ruffo – in un appartamento appartenuto alla famiglia di Benedetto Croce – le venti opere dell’artista sono allestite in maniera ariosa ma allo stesso tempo familiare, mantenendo l’atmosfera domestica dello spazio legata alla natura dei lavori stessi.
Le opere di Marisa Merz a Napoli
Ed è proprio l’intimità la forza della mostra, come si vede già nella prima sala, dove tre sculture in creta sono appoggiate su una base rettangolare bianca. Intense le sette opere – tecniche miste su carta – realizzate tra il 2002 e il 2003, che mantengono la dimensione minimale caratteristica del linguaggio dell’artista, mentre nelle opere più recenti (Untitled, 2012 e Untitled, 2016) Marisa Merz ha inserito nel proprio immaginario elementi formali nuovi, che aggiungono alla sua ricerca una dimensione più barocca e scenografica. Un vero capolavoro è la scultura triangolare in rame e paraffina appoggiata a terra sopra un tappeto persiano, come venne esposta la prima volta nel 1995 al Kunstmusem di Winterthur. “Le mie fantasie, – ha scritto Marisa – tutto ciò che ho scoperto, non sono ciò che chiamo conoscenza: per me è gioia. […] È la gioia associata al contatto con me stessa e con il mondo, e alla relazione tra i due”. Una relazione speciale che si riverbera tra gli spettatori e le sue opere, che questa mostra propone in modo efficace, con la compartecipazione della luce mediterranea, amica e complice dei grandi artisti come Marisa Merz.
Ludovico Pratesi
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