La Fondazione Sozzani trasloca nel quartiere Bovisa di Milano. Foto in anteprima
Il trasferimento si prevede per la primavera 2024. Così, per il polo culturale che ha diffuso fotografia, moda, design e arte a Milano inizierà un nuovo capitolo. Artribune ha visitato la nuova sede in anteprima e intervistato Carla Sozzani
Fondazione Sozzani è stata pionieristica nel campo dell’arte, della fotografia, della moda e del design, integrando responsabilità sociale, formazione e cultura contemporanea. Fondata nel 2016 da Carla Sozzani insieme a Kris Ruhs e Sara Sozzani Maino, oggi si appresta a traslocare in una nuova sede (apertura prevista per la primavera 2024) nel quartiere Bovisa, a Milano, confermando l’impegno nella diffusione dell’arte contemporanea in tutte le sue forme e integrando un profondo coinvolgimento nella rigenerazione urbana sostenibile. Artribune ha visitato in esclusiva gli spazi e incontrato Carla Sozzani, figura di spicco nel panorama culturale e artistico contemporaneo, che nel 1990 inaugurava in città la visionaria Galleria Carla Sozzani di Corso Como 10.
Intervista a Carla Sozzani
La Fondazione Sozzani ha una storia lunga più di trent’anni. Come nasce?
Ho aperto la galleria dopo un percorso nel giornalismo di moda perché l’immagine era il mio mondo, avendo lavorato con tutti i fotografi più famosi dell’epoca. Il mio mentore è stato Alfa Castaldi: molto più di un fotografo di moda, uomo di profonda e immensa cultura. Ero entusiasta e appassionata; la prima mostra fu dedicata a Louise Dahl-Wolfe, che, immortalando per la prima volta una donna indipendente, cambiò la fotografia di moda. Un’artista integra, che smise di fotografare quando i direttori artistici cominciarono a prendere il sopravvento sulla fotografia, fino ad allora libera di esprimersi. La Galleria era il mio manifesto e come per il menabò di un giornale passavo dal design alla moda, fino al fotogiornalismo. Era il mio grande contenitore ed è stato interessante vedere come la città di Milano l’abbia accolto e apprezzato, tanto da fare lunghe code all’ingresso o collezionarne gli inviti.
Come le 304 mostre organizzate nel tempo hanno contribuito a delineare una narrativa unica e distintiva per la Fondazione Sozzani?
Si deve tutto a un punto di vista preciso e poliedrico, che poi è il mio. Quello che conta è che ci sia un occhio solo, che chiamo “the editing eye”, perché senza editing non c’è coerenza. Penso alla fine di aver creato un vero e proprio linguaggio, che da subito è stato percepito come originale. Le mostre sono sempre state curate da me, dalla selezione dei temi all’allestimento. La passione è stata la chiave del successo. Ho sempre fatto questo lavoro perché ne sono profondamente innamorata e perché riempie il mio tempo, si alimenta delle mie energie.
Invece, come le mostre itineranti e la presenza in città come Parigi hanno influenzato la proiezione globale della Fondazione e il suo impatto sul pubblico internazionale?
Credo molto nel principio di apertura. Mi piace menzionare la parola “welcome” (vieni qui che le porte sono aperte) e lo si percepisce anche in questa nuova sede dove gli spazi sono comunicanti. La partecipazione collettiva è sempre stata una delle mie finalità: abbiamo da imparare da tutti, tutti i giorni. La Fondazione di Parigi è una continuità di quello che avviene a Milano. Ho profondamente voluto quella sede a Porte de la Chapelle perché rappresenta la multiculturalità che ci contraddistingue, ed è stato un vero colpo di fulmine.
Fondazione Sozzani ha più volte sottolineato l’importanza della responsabilità sociale e della sostenibilità. In che modo integra questi principi nei suoi programmi educativi e artistici, contribuendo alla formazione di una nuova generazione di creativi consapevoli?
Si tratta di una delle missioni della Fondazione. Grazie all’arrivo di Sara Sozzani Maino, che si dedica al supporto dei nuovi talenti, ci dedichiamo alla responsabilità e sostenibilità integrandola con il DNA della Fondazione. Per fortuna il cambiamento è in atto e al cuore della nuova sede è lo studio di Kris Ruhs, che da artista spinge sulla lavorazione manuale e sull’artigianato. L’ambizione è quella di distogliere l’attenzione dall’etere per rendere tutto materico, una sorta di piccola Bauhaus dove l’obiettivo è quello di creare una coscienza su questi temi.
La nuova sede di Fondazione Sozzani a Bovisa
La decisione di portare la Fondazione Sozzani a Bovisa coincide con la rinascita di questa zona di Milano. Qual è l’impegno della Fondazione per la rigenerazione urbana sostenibile?
La nostra è una scelta consapevole, così come avvenne all’epoca in zona Garibaldi, considerata allora un quartiere in via di recupero. Ancora una volta torna la vicinanza a uno scalo ferroviario come luogo di movimento e di transito. Mi piace la dimensione umana presente ancora nelle strade circostanti, tra trattorie e piccole realtà commerciali. Siamo a pochi minuti dal centro eppure sembra di essere altrove. Non nascondo che vorrei contribuire a supportare Bovisa come nuova destinazione culturale.
Il quartiere Bovisa è stato un centro industriale e oggi ospita diverse istituzioni educative, compreso il Politecnico di Milano. In che modo la Fondazione Sozzani si propone di interagire con la comunità accademica esistente?
Mi interessa molto condividere tutto ciò che ho costruito e imparato durante il mio lungo percorso, per questo la Fondazione Sozzani sarà un luogo dove gli studenti potranno confrontarsi e fare ricerca. Metteremo a disposizione su appuntamento la biblioteca dedicata alla moda e alla fotografia e gli archivi dove custodiamo tutto il materiale raccolto nell’organizzazione delle mostre.
Come si prospetta il futuro delle attività culturali, educative e sociali, sia a livello locale che globale, della Fondazione Sozzani?
Torno all’idea di welcome menzionata in precedenza. Vorrei che diventasse luogo di condivisioni e di incontri. Un progetto globale che copre tutti gli aspetti, dal sociale alla sostenibilità, con la ricerca della bellezza, senza la quale il mio progetto non sarebbe mai esistito, sempre al centro
Alessia Caliendo
Foto di Martina Giammaria
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