La mostra sui French Moderns a Padova. 45 artisti da Monet a Matisse 

Le quasi 60 opere provengono dalle collezioni del Brooklyn Museum, una delle prime realtà pubbliche ad aver collezionato dipinti e sculture realizzati secondo gli stili in voga in Francia tra la metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento

Tutti coloro che visitano la mostra Da Monet a Matisse. French Moderns 1850-1950, allestita a Palazzo Zabarella di Padova, possono ammirare 59 opere, di 45 diversi artisti, provenienti dal Brooklyn Museum e che fanno parte del nucleo da cui deriva il sottotitolo del progetto. L’istituzione museale fu infatti la prima, negli Stati Uniti, a collezionare e a esporre dipinti e sculture rappresentativi del “modernismo” francese, sotto la cui definizione si raccolgono vari movimenti, dal Realismo all’Impressionismo, dal Simbolismo al Fauvismo e al Surrealismo. Una raccolta avviata a inizio Novecento con spirito senza dubbio lungimirante e costituita oggi da ben 500mila pezzi di artisti francesi e di altri che, tra la metà del XIX secolo ai primi decenni del successivo, frequentavano Parigi e la Francia. La mostra – che non è un progetto originale, poiché compie a Padova la sua ottava tappa dopo aver toccato altre città in Canada, negli Stati Uniti e in Corea del Sud – si inserisce nella linea adottata fin dalle prime mostre di Palazzo Zabarella e che intende offrire uno sguardo nuovo sui linguaggi artistici affermatisi nel periodo citato, come evidenzia il direttore culturale della Fondazione Bano, Fernando Mazzocca. 

Claude Monet, Palazzo del Parlamento, effetto della luce solare, 1903, Brooklyn Museum, lascito di Grace Underwood Barton. Photo Brooklyn Museum
Claude Monet, Palazzo del Parlamento, effetto della luce solare, 1903, Brooklyn Museum, lascito di Grace Underwood Barton. Photo Brooklyn Museum

Le sezioni e gli highlights 

Il percorso espositivo si snoda attraverso quattro sezioni dedicate rispettivamente al paesaggio, alla natura morta, al nudo e ai ritratti e figure. Oltre ai protagonisti Claude Monet ed Henri Matisse, entrambi presenti con due opere ciascuno, si incontrano Corot, Courbet, Pissarro, Sisley, Cézanne, e poi Renoir, Soutine, Degas, e tanti altri, compreso Rodin con le sue sculture. La selezione vuole restituire un panorama ampio e diversificato – lo scrivono Federico Bano, patron della sede espositiva, e ancora Mazzocca – in modo da “ripercorrere l’evoluzione dell’arte francese”. Tra gli highlight vanno segnalati in particolare la Donna in poltrona di Matisse, uno dei numerosi ritratti della modella italiana Laurette, oltre alla grande tela Donna nuda che si asciuga di Edgar Degas: quest’opera è descritta come incompiuta, ma il grande formato, l’altissima resa formale e la presenza della firma potrebbero far quasi pensare a un lavoro finito. Occhi puntati, ovviamente, anche su Palazzo del Parlamento, effetto della luce solare di Claude Monet ed è particolarmente suggestiva pure la saletta che accoglie Giacobbe lotta con l’angelo di Odilon Redon. 

Tanti capolavori, poco storytelling 

L’occasione è quindi ghiotta per rimanere incantati davanti una raffica di capolavori, ma il potenziale di una tal disponibilità di opere avrebbe potuto essere sfruttato meglio, soprattutto dal punto di vista “didattico”: in particolare dei molti gli autori non francesi – interessantissimi, peraltro – non si esplicita il rapporto tra le loro vite e il contesto parigino e a uno sguardo non attento queste presenze potrebbero sembrare “estranee”. Qualche esempio: è ben nota l’attività di Giovanni Boldini nella Ville Lumière, tanto da essere compreso nel gruppo dei “les italiens de Paris”, mentre in pochi probabilmente conoscono le vicende biografiche e le relazioni con la Francia del russo Aleksandr Yakovlev o dell’ungherese Lajos Tihanyi.  Nemmeno le rare didascalie “parlanti” aiutano, limitandosi spesso alle descrizioni dei dipinti; qualcuna risulta addirittura incomprensibile, supponiamo per via di traduzioni a dir poco approssimative. Insomma, uno storytelling più efficace avrebbe senz’altro arricchito la mostra di contenuti accattivanti e formativi. 

Marta Santacatterina 

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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