L’intricata storia del Guerriero con lo scudo di Henry Moore. Che torna a Palazzo Vecchio a Firenze
Una vicenda di incomprensioni, di collocazioni sbagliate, di donazioni e restituzioni, di lettere accorate tra l’Italia e l’Inghilterra. E finalmente il ritorno nella sua giusta sede dell’opera che il grande scultore britannico aveva pensato per uno dei luoghi più iconici della città
Nel 1972 l’artista inglese Henry Moore (Castleford, 1898 – Perry Green, 1986) ritornava in Italia per la seconda volta con una grande mostra al Forte Belvedere. Ci era già stato negli Anni ’20, come ricorda nel 2021 Laura Lombardi in un bell’articolo per Antinomie, dopo una serie di viaggi in Italia culminanti in tre mesi spesi nel capoluogo toscano, sminuendo Donatello, da Moore definito un “modellatore” ma ammirando la pittura di Giotto, per lui pura plastica. Nella “sua Firenze” Moore avrebbe voluto vedere per sempre esposta una propria scultura, Il Guerriero con lo scudo, identificando come luogo d’elezione per quest’opera la Terrazza di Saturno all’interno di Palazzo Vecchio. Ora, a 38 anni dalla scomparsa del maestro che ha decostruito la figura umana, il suo desiderio finalmente si realizza e l’opera, già esposta nel primo cortile di Santa Croce sarà collocata permanentemente nel luogo prescelto dall’artista in un progetto a cura di Sergio Risaliti.
La storia del Guerriero con lo scudo di Moore
La vicenda del bronzo è bella ma complessa. Realizzato tra il 1953 e il ’54, viene esposto in occasione della retrospettiva in Italia. L’artista poi decide di donarla alla città scegliendo il loggiato di Palazzo Vecchio come sede, ma per una serie di complicazioni (l’opera pensata per interni viene collocata in uno spazio temporaneo all’esterno che rischia per condizioni avverse di danneggiarla) non ci arriva mai, irritando Moore. L’artista aveva infatti ricevuto nel 1984 dal fotografo e storico della scultura americano David Finn una foto che documentava lo stato di abbandono del Guerriero. Per sovrammercato, si verifica un clash culturale tra l’umorismo fiorentino e la sensibilità inglese che viene urtata dal soprannome monumento al monco – l’opera che chiaramente si ispira al non finito michelangiolesco accentua l’epica del soggetto con la cancellazione di intere porzioni di corpo -. Moore si indispettisce e ne chiede la restituzione, riportando la scultura in Inghilterra e riaccendendo così l’interesse di Firenze che l’aveva dimenticata.
Le acquisizioni delle opere di Moore a Firenze
Nonostante le amarezze circa la collocazione dell’opera, l’operazione Moore testimonia un clima favorevole intorno all’arte contemporanea a partire proprio dalle istituzioni.
Luciano Bausi, di area DC, divenuto sindaco della città nel 1967 – nel periodo complesso dopo l’alluvione del 1966 – manifesta più volte il suo interesse per l’arte, tanto da presiederne negli ultimi anni della sua carriera l’Accademia di Belle Arti. Nel suo articolo su Antinomie, Lombardi ricorda il carteggio con l’artista britannico: “all’inizio”, scriveva Moore nel ’72 a Bausi, “studiai principalmente i primi artisti fiorentini, soprattutto Giotto per le sue evidenti qualità scultoree. Più avanti la mia ossessione divenne Masaccio tanto che ogni giorno di primo mattino facevo visita alla Cappella della Chiesa del Carmine prima di andare da qualsiasi altra parte… Verso la fine dei tre mesi era Michelangelo che maggiormente mi affascinava e da allora è rimasto il mio ideale”.
Contestualmente all’acquisizione del Guerriero, il Sindaco stava inoltre trattando l’acquisto di una Figura distesa, all’epoca a Berlino, del costo di 35mila sterline. Nonostante i buoni auspici però la somma non viene raccolta e l’operazione non va in porto.
Il ritorno del Guerriero a Firenze
Ma tornando alla vicenda del Guerriero, dopo la morte del maestro, riparte nell’agosto del 1986 una trattativa tra gli eredi, la città di Firenze, forte dell’impegno del nuovo Sindaco di area socialista (dal 1985) pianista e parente di D’Annunzio Massimo Bogianckino, e il British Institute of Florence, che nel frattempo aveva ricevuto l’opera dalla moglie Irina e dalla figlia Mary Moore. A interessarsi è anche Maria Luigia Guaita, tra le figure femminili più importanti della resistenza a Firenze, amica di Carlo Ludovico Ragghianti, storico dell’arte e anch’egli partigiano, moglie dell’editore Enrico Vallecchi e fondatrice del Centro per l’Incisione Il Bisonte, al fianco ancora oggi di artisti provenienti da tutto il mondo. L’opera dopo una serie di accorate lettere, e con la garanzia dell’Istituto britannico, rientra in Toscana, con la formula del comodato d’uso e l’esposizione dell’opera in Santa Croce avvenuta nel 2021, all’interno del format Henry Moore Relocated, sempre a cura di Risaliti, dove è rimasta esposta fino ad oggi.
Una storia di errori, onestamente, tutta italiana, che racconta come non sempre si riesce a dare merito a ciò che si ha, fino a quando non lo si perde, e come ciò che arriva da una donazione spesso non viene valorizzato, ma che oggi, grazie all’impegno di molti, la cura di Risaliti e il restauro realizzato presso il Settore Bronzi e armi antiche dell’Opificio delle Pietre Dure, con il coordinamento del Servizio Arte contemporanea, rimette a posto le cose e riporta una grande opera nella sua giusta casa. La mostra di Moore al Forte Belvedere, spiega Risaliti, “ha cambiato radicalmente il rapporto tra il mondo culturale fiorentino e l’arte moderna contemporanea. La scultura di Henry Moore è stata un “dolce shock” perché ha fatto cadere molte resistenze e perplessità con il suo linguaggio assolutamente all’avanguardia eppure classico, direi anzi neoumanistico. In più, ai più accorti, ha fatto capire il forte legame dell’arte del Novecento con il mondo arcaico e primordiale. Infine, le sue ricercate forme non sono vuote di significato perché tendono sempre a rappresentare il mistero della natura e la grandezza drammatica della storia e dell’esistenza umana”.
Santa Nastro
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