“Palermo mi fa paura perché me ne potrei innamorare”. Videointervista allo scultore Jago
Lo scultore italiano ormai di fama internazionale giunge a Palermo con ‘Look Down’, scultura in marmo che ritrae un bambino in posizione fetale, con l’invito a volgere lo sguardo verso i più fragili. Ecco cosa ci ha raccontato l’artista
Dopo aver toccato Piazza del Plebiscito a Napoli, durante il lockdown, il deserto di Al Haniyah a Fujairah (Emirati Arabi Uniti), prendendo il nome di Look Here, e l’area antistante al Colosseo a Roma, giunge al Palazzo Reale di Palermo Look Down, opera in marmo dello scultore Jago (Frosinone, 1987) collocata, fino al prossimo 3 giugno, al centro del Cortile Maqueda, rivolta verso la Cappella Palatina.
Un bambino in marmo bianco, in posizione fetale, invita a guardare verso il basso, ovvero verso i più fragili, superando così il muro dell’indifferenza e soprattutto trovare il coraggio di affrontare le sfide del mondo contemporaneo. L’allestimento dell’opera di Jago, voluta dalla Fondazione Federico II, “non altera la fruizione del luogo, ma la esalta e crea l’opportunità di nuovi approfondimenti e nuova rigenerazione”, spiega il Direttore generale della Fondazione Patrizia Monterosso.
“L’arte di Jago è anche comunicazione e contribuisce a determinare ulteriori consapevolezze. L’allestimento presso il Cortile Maqueda seicentesco è stimolo per ricercare maggiore bellezza dell’arte, difenderla e curarla. L’opera imprime ulteriore umanità a questo luogo. Le opere di Jago”, continua Monterosso, “hanno il merito di ricordare come ascoltare l’anima: per ascoltare occorre porre attenzione all’altro. ‘Look Down’ pone il visitatore in una condizione di ascolto con l’elemento immateriale dell’opera. Non a caso le sue opere affrontano spesso temi sociali che pongono il fruitore dinanzi a un interrogativo a cui non può sottrarsi”.
Jago a Palazzo Reale a Palermo. L’intervista
Visibilmente commosso durante lo svelamento dell’opera, Jago racconta, nella videointervista rilasciata ad Artribune, la sua esperienza a Palermo, contraddistinta da emozioni, stimoli e soprattutto dallo scambio: tra il luogo e la sua opera, da lui definita come un “contenitore vuoto che può diventare altro”.
E circa il suo rapporto con Palermo aggiunge: “sono spaventato dai luoghi di cui credo di potermi innamorare, Palermo è uno di questi. Sarò in grado di poter condividere le sensazioni che mi trasmette al termine di questa esperienza di installazione perché avrò modo di approfondire, ma temo che la mia frequentazione sarà accompagnata da un sentimento di sofferenza perché ciò accade quando ti innamori di un luogo e devi lasciarlo. E sono sicuro che di Palermo mi innamorerò facilmente”.
Desirée Maida
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