La Biennale di Gerusalemme torna a casa. Un’edizione all’insegna dell’incontro nell’arte
La sesta edizione della manifestazione avrebbe dovuto inaugurare nella Città Santa il 9 novembre scorso, rinviata per la guerra, ancora drammaticamente in corso. Ora riprende vita per promuovere il dialogo tra culture
Ogni due anni, da ormai un decennio, per sette settimane Gerusalemme si tinge di colori inaspettati: quelli di una Biennale volta, proprio come quella di Venezia, non solo ad esplorare nuovi orizzonti dell’arte contemporanea ma anche nuovi spazi e quartieri di una città che di solito viene visitata solo per conoscere i luoghi sacri delle tre religioni monoteiste che fanno di Gerusalemme l’ombelico del mondo.
L’inaugurazione della sua sesta edizione – assieme al suo decimo compleanno – avrebbe dovuto essere il 17 Novembre 2023. Ma a causa del massacro di Hamas del 7 ottobre e del conseguente inizio di un’operazione militare ancora in corso, gli organizzatori della Jerusalem Biennale hanno dovuto rivedere i propri piani, decidere se e a quando rimandarla, coordinarsi con tutti gli artisti e i curatori che avevano in programma di arrivare da tutto il mondo.
La Biennale di Gerusalemme risponde presente
Un intero progetto è rimasto col fiato sospeso per mesi fino alla decisone da parte del suo direttore artistico e fondatore, Rami Ozeri, di non aspettare ancora. Anzi, proprio per il periodo drammatico in cui si trovano l’arte israeliana e quella palestinese, aprire le porte di Gerusalemme ai suoi cittadini e al resto del mondo risulta, oggi più che mai, necessario. Con l’obiettivo non solo di mettere in mostra le opere selezionate oltre un anno fa, ma anche di creare eventi collaterali per promuovere il dialogo tra culture diverse. Obiettivo che, nel contesto di un conflitto ancora in corso, diventa più significativo e ambizioso che mai. Si tratta, infatti, di un progetto straordinario che coinvolge 5 musei, 10 gallerie, 33 mostre, e oltre 200 artisti: 7 settimane di arte contemporanea disseminata per tutta Gerusalemme.
La storia della Biennale di Gerusalemme
La prima Jerusalem Biennale è stata realizzata nel 2013 con l’intenzione di creare proprio nella Città Santa – polo idealmente opposto a Tel Aviv, Sin City e centro internazionale degli affari e della scena artistica internazionale – una piattaforma in cui sia artisti israeliani, sia artisti provenienti da tutto il mondo, potessero utilizzare gli spazi anche meno conosciuti dalla città, per mostrare non solo la proprie opere ma anche esprimere la complessità della propria appartenenza culturale e identitaria, in un luogo dove culture e identità si incontrano – e a volte si scontrano – da migliaia di anni rendendolo, anche per questo, unico al mondo.
L’idea nasce nel 2010. Dopo essersi confrontato per tre anni con musei, gallerie e altre istituzioni della città, Ozeri realizza la prima edizione che coinvolge sia siti istituzionali da sempre adibiti all’arte, che contenitori differenti, inaspettati, ma fortemente connessi al tessuto urbano di Gerusalemme. Allora, le mostre furono solo 6 e 60 gli artisti partecipanti, tutto realizzato praticamente a zero budget, ma la Jerusalem Biennale riscosse immediatamente un enorme successo, sia di pubblico che mediatico; il che ha poi permesso, negli anni, di crescere e di ospitare artisti internazionali dal calibro di Marina Abramovich, ospite nel corso della Biennale del 2019.
Dieci anni di Jerusalm Biennale. Il tema e gli artisti
Il 2023 doveva essere l’anno in cui celebrare i 10 anni di questo grande progetto, fino all’irrompere di una guerra che sta diventando uno dei temi centrali affrontati dall’arte israeliana contemporanea.
Per ironia della sorte, il titolo scelto per questa sesta edizione – ben prima del 7 ottobre – aveva qualcosa di quasi profetico: “Iron Flock”, in inglese, è la traduzione dell’ebraico “Tzon Barzel”, letteralmente “gregge di ferro”, citazione mutuata da un noto passo dell’artista israeliano Moredechai Ardon, che sta a significare il movimento di un gruppo che diventa la fondazione di qualcosa. “Perché un gregge, per potersi muovere da un luogo all’altro, deve essere unito e forte, come il ferro – ci spiega il Direttore artistico della Biennale – Nonostante la connotazione mascolina che ha di solito un materiale forte come il ferro, la bellezza di questa metafora è che viene solitamente utilizzata per rappresentare la forza della madre, ovvero di colei che, per natura, guida il gregge. Fin da subito, ci è piaciuta questa metafora femminista come cornice con cui abbracciare tutti i lavori selezionati dalla Biennale: come un gregge di artisti, di tutti i generi e di tutte le identità, guidati da questa grande forza generatrice”. Un tema definito già nel 2022, anche prima che la situazione politica in Israele si infiammasse con l’inizio delle proteste contro la riforma giudiziaria anti-democratica, perseguita dalla maggioranza del governo, portate avanti da centinaia di miglia di cittadini per 39 sabati consecutivi. Fino al massacro del Sabato Nero, con tutto ciò che ne è conseguito.
“L’attacco del 7 ottobre – continua Ozeri – a solo un mese da quella che avrebbe dovuto essere l’inaugurazione ufficiale, ha interrotto, oltre a migliaia di vite, anche la celebrazione di un decennio di attività nel campo dell’arte contemporanea. Per sostenerci, i nostri partner internazionali hanno creato una serie commovente di lavori per esprimere la loro solidarietà all’estero. Ma ora è il momento di tornare in città. Oggi la sfida nello stabilire e mantenere canali di collaborazione nel mondo dell’arte internazionale è più importante che mai, oltre ad essere un modo affascinante per scoprire Gerusalemme come non si era mai vista prima”.
Nel contesto politico di questi giorni, dunque, la connotazione della Biennale diventa più forte, come la necessità, attraverso il lavoro degli artisti e dei curatori che ne fanno parte, di far sentire la propria voce, i propri dubbi, le proprie fragilità, mentre mezzo mondo boicotta Israele e con esso anche l’arte israeliana, costituita proprio da quelle visoni, spesso critiche, che rappresentano la complessità di un Paese unico al mondo per la sua ricchezza di culture, lingue, religioni e sentimenti che, spesso, solo attraverso l’arte, riescono a raggiungere l’opinione pubblica internazionale. Quest’anno più che mai questa grande finestra su Israele potrebbe essere una importante opportunità di dialogo, l’unica forza motrice per auspicare un futuro di pace.
La Jerusalem Biennale apre il 10 Marzo e chiuderà il 29 Aprile. Qui l’elenco completo delle mostre e delle installazioni.
Fiammetta Martegani
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