Esorcizzare la materia. La mostra di Franco Menicagli a Prato
Negli spazi interni ed esterni della barocca Villa Rospigliosi, le opere di Franco Menicagli si interrogano sulla decostruzione della materia e sulla perdita di senso
Denudare il segno dal suo significato è un’ambizione che rasenta l’utopia in una contemporaneità intessuta da una fitta trama di immagini, schema talmente intrecciato da risultare compatto e impenetrabile. In apparenza.
Gli artisti postmoderni incarnano la tendenza del ricercare un gesto primordiale, o semplicemente naturale, inteso, appunto, quale privo di significato intellegibile, trovando nella pratica stessa la soluzione estetica alla questione: si pensi alla reiterazione serigrafica promossa da Andy Warhol oppure all’animazione in divenire di William Kentridge, senza dimenticare gli illustri esempi in altri campi espressivi, come William S. Burroughs in letteratura, Lars Von Trier nel cinema e John Cage nella musica. La comune affiliazione filosofica di questi (e molti altri) autori, che si può radunare sommariamente nel Decostruttivismo, è un pensiero ancora oggi seguito e ben adottato per risolvere il lavoro artistico, assoggettato alla succitata trama di immagini, in opere sempre più inclini alla fruizione materiale, in una sorta di ridefinizione dell’oggetto-arte.
Il percorso di Franco Menicagli (Campiglia Marittima, 1968) rassomiglia ad una decostruzione della maniera scultorea, dove il volume spaziale diventa sostanza intellegibile per qualificarsi come opera.
La mostra di Franco Menicagli a Prato
In occasione della sua ultima mostra personale – intitolata Ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale, organizzata da ChorAsise curata da Riccardo Farinelli presso gli ambienti della storica Villa Rospigliosi di Prato – il Menicagli propone una piccola summa della sua ricerca degli ultimi vent’anni, con alcune inedite proposte di lettura. Il progetto contempla la pubblicazione di un volume edito da Metilene, con testi di Pietro Gaglianò Martino Margheri Riccardo Farinelli, a corollario del lavoro di ricerca poetica di Franco Menicagli, e verrà presentato domenica 10 Marzo 2024 a chiusura della mostra.
Il tentativo di porre la raccolta di opere e installazioni esposte come un metalinguaggio artistico, invero, non rende giustizia ad una mostra confutabile, piuttosto, proprio nella sua perdita di significazione. Ad esempio, il poliuretano espanso, generalmente usato in forma schiumosa come isolante nell’edilizia, quindi un materiale occulto, diventa protagonista dell’installazione Espansioni (2020/23) con la sostanza ormai cementificata collocata trionfalmente su varie sedie di recupero: la rinuncia ad un controllo diretto del materiale libera la volontà dell’artista da velleità simboliche, tuttavia non perde la licenza espressiva di un intervento cromatico e architettonico (il rigore della posa delle sedute). Sicuramente non mancano guizzi ironici nella lettura complessiva, pur restando fedele all’indole dell’homo-faber, più dedito alla pratica che al giudizio.
Le opere di Franco Menicagli a Villa Rospigliosi
Contrariamente alla palese manifestazione della materia in espansione, che “fagocita” lo spazio predisposto alla seduta, negli ambienti esterni il Menicagli dissemina il verde di piccolissime sculture composte da plastilina e rametti di abete sintetici; il camouflage all’aperto decostruisce lo spazio in virtù dell’insignificanza dimensionale degli oggetti esposti, nominati Bonsai-Erbacce (2023), che rendono pressoché nulla la modifica materiale del contesto circostante, eppure muovono piccoli moti epifanici nel momento del rinvenimento degli stessi. Ad essere messa in discussione non è la percezione visiva, ma l’idea stessa di Spazio, che perde significato nella sua accezione qualificativa, slittando, nello specifico, l’idea di “spazio privato” e “spazio pubblico”. Più che un fraintendimento, Franco Menicagli riesce, con interventi straordinariamente minimi, ad amplificare la natura epistemologica della materia utilizzata privandola della sua superiorità nel rapporto con lo spazio, addirittura subordinandola al vuoto circostanziale.
Uno spunto alquanto inedito, in conclusione, lo offre l’installazione Blister (2023) allocata nella cappella familiare di Villa Rospigliosi, luogo raramente frequentato dai visitatori, dove plastiche trasparenti vengono assemblate per formare pezzi autonomi posti su piedistalli; il vago ricordo dei trofei o dei reliquiari viene enfatizzato da fari seguipersona (occhio di bue in gergo) ed ovviamente dal contesto sacro. L’idea decostruzionista della materia, in questo caso, è molto più precisa poiché l’atmosfera rimane intatta, così come l’eloquenza del materiale utilizzato, purtuttavia “esorcizzato” dalla sua fisicità a favore di un equilibrio entropico tra l’oggetto ed il suo scrigno.
Luca Sposato
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