La caducità trattenuta nella mostra di Gianluigi Colin a Milano
Dalla redazione del Corriere della Sera alle tele esposte nella galleria BUILDING di Milano. Un tempo materiali e parole effimere, le opere di Gianluigi Colin cercano di fermare il tempo
In una città come Milano, la stampa quotidiana e l’arte contemporanea si ritrovano – volenti o nolenti – a condividere lo stesso contesto spazio-temporale. Tuttavia, mentre le notizie pubblicate sui giornali hanno l’effimera durata di un giorno, le opere artistiche vivono in eterno. Un articolo stampato sulla carta racconta l’oggifino a sera. Con una tela, l’artista può parlare del suo tempo a lungo, senza fermarsi allo scadere della mezzanotte. Per abitudine ormai “consumiamo le notizie, senza comprendere concretamente quello che vediamo o leggiamo”. Così commenta Gianluigi Colin (Pordenone, 1956), guardando alla società odierna. Con le sue opere inedite – in esposizione presso la galleria BUILDING di Milano –vuole interrompere questo scorrere inesorabile delle cose. Post Scriptum: il titolo suggerisce il suo tentativo di creare un “dopo” a quelle parole d’inchiostro che non si meritano una vita così breve.
Chi è Gianluigi Colin
La radice concettuale della pratica artistica di Gianluigi Colin scaturisce immediata dalla sua biografia Il mondo della stampa è da ormai lungo tempo il suo pane quotidiano. Ha cominciato a lavorare per il Corriere della Serafacendo reportage fotografici, diventando in seguito fondatore dello speciale inserto domenicale La Lettura.
A un certo punto della sua vita, però, la sua indole creativa ha subito una scossa ulteriore. Si è riconosciuto artista, e – in quanto tale – si è sentito come in dovere di parlare del proprio tempo. E ha cominciato a farlo a partire dal suo vissuto personale: la sua professione, i suoi quotidiani.
La mostra di Gianluigi Colin da BUILDING a Milano
Viste dall’esterno – dalle vetrate della galleria milanese – le grandi tele di Colin sembrano paesaggi distorti. Skyline di città metropolitane, forse d’oltreoceano, ripetute uno sopra l’altro, come fotografie seriali. Poi si entra, si ruba una parola dalle labbra dell’artista. Lo si sente dire: “Ho voluto rappresentare qui la caducità trattenuta delle cose. Caducità che altrimenti sparirebbe e scivolerebbe via con la fine del giorno”. Sembrano paesaggi, ma sono il risultato del suo appropriarsi dei tessuti con cui si puliscono le rotative dei quotidiani. Un materiale di lavoro intrecciato da vicino con la sua vita, che diviene medium su cui fissare un presente altrimenti destinato a scorrere via.
Le opere di Gianluigi Colin in mostra da BUILDING a Milano
Alle pareti, le tele variegate a strisce si susseguono e giocano combinandosi, come pannelli di carta da parati. E poi, il secondo e ultimo piano. Un gruppo di opere di diversa fattura, in cui il soggetto è una potenziale pagina di giornale accartocciata, divenuta solida come la cartapesta. Questa è adagiata su una lastra di fondo, disseminata di singole parole stampate. “Religione”, “Sanità”, “Rifugiati”. “Riconciliazione”. I temi e le parole chiave pregne di senso, da titoli di prima pagina, si alternano a vocaboli dal tono etico. Paiono suggerire una lettura della realtà che sia qualcosa di più di un semplice scorrere passivo delle righe di notizie. Una lettura responsabile, critica, che non dimentichi e non azzeri la memoria a fine giornata.
Emma Sedini
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