Il pittore Manuele Cerutti e l’odissea del suo alter ego a Reggio Emilia
L’artista torinese espone in Collezione Maramotti una serie di grandi dipinti e un corpus di acquerelli mediante i quali riflette sulla paternità, innestando al tema portante richiami mitologici e conoscenze botaniche
Cosa succede quando a un artista viene affidato l’accudimento di un neonato o poco più? Succede… una mostra! Stiamo parlando in particolare di quella allestita alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, dove Manuele Cerutti (Torino, 1976) espone alcune tele e numerose opere su carta di piccolo formato che raccontano la sua vicenda biografica di un padre alle prese con la quotidianità del figlio, intrecciandola con conoscenze botaniche e rimandi alla cultura classica, in particolare quella della Grecia antica. Il pittore privilegia il linguaggio figurativo e per la prima volta si confronta con il grande formato dei sei dipinti collocati nella Pattern Room della sede espositiva, mentre l’ampio corpus di carte è allestito nel corridoio che conduce al primo piano, dove si visita la prestigiosa collezione permanente della famiglia Maramotti.
Paternità e mitologia nelle opere di Manuele Cerutti
Le opere narrano una storia che prende spunto da Filottete, celebre arciere della mitologia classica che venne morso al piede da un serpente velenoso, non riuscendo a guarire dalla ferita. Manuele Cerutti si autoritrae nei quadri e nei bozzetti con un arto inferiore ferito e dal quale si suggerisce la creazione, per partenogenesi, del figlio – il pensiero corre subito a Zeus. Le scene sono ricche di pathos, anche grazie alla moltiplicazione del protagonista o di parti di esso (talvolta la figura ha molti arti, quasi fosse la dea Kālī!), che nelle pose e nelle espressioni sembra così esprimere le acrobazie che comporta la gestione di un bimbo piccolo. Anche le ambientazioni incombono, creando atmosfere lievemente inquietanti, dalla stanza dal soffitto bassissimo agli spazi dove la campagna incontra la periferia di Torino, fino al bosco che, come si sa, è da sempre il luogo simbolico della minaccia.
La mostra di Manuele Cerutti alla Collezione Maramotti
Il terzo fattore con cui Cerutti arricchisce le sue opere, oltre alla narrazione biografica e al riferimento mitologico, è quello della botanica: l’artista coltiva realmente un orto e un giardino con degli alberi e utilizza le conoscenze acquisite per riflettere sulla capacità generativa delle specie vegetali. In particolare si è interessato alla margotta, una tecnica che consente di ottenere nuove piantine identiche a quella di partenza, incidendo un ramo e avvolgendolo con della terra e un telo nero entro il quale spunteranno le radici. Non a caso Cerutti raffigura il suo alter ego mentre applica una sorta di margotta alla gamba ferita per poi riposare esausto, dopo tante fatiche, nell’atelier del pittore, forse in attesa di una nuova moltiplicazione.
Se i monumentali oli su tela hanno ovviamente un forte impatto immediato, il corpus degli acquerelli richiede maggior attenzione eppure, forse grazie alla loro “concentrazione”, colpiscono di più per il loro equilibrio compositivo, per gli affondi sui particolari, per un perfetto rapporto tra figura, spazio e fondo. Un equilibrio che talvolta traballa nel grande formato.
Marta Santacatterina
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