Dialogo tra antico e contemporaneo. A Piacenza due mostre sul guardare
Il tema della memoria, tra sacro e profano, una riflessione sulla scultura, sul dolore e la bellezza: due mostre allo spazio XNL di Piacenza mettono al centro lo sguardo nell’arte ieri e oggi
XNL Piacenza, centro di arte contemporanea, cinema, teatro e musica della Fondazione di Piacenza e Vigevano presenta due nuovi capitoli del ciclo espositivo Sul Guardare. A introdurli è la curatrice Paola Nicolin, anche direttrice di XNL Arte: “Carol Rama e Berlinde De Bruyckere sono due donne potenti e poetiche insieme. Attraverso il loro lavoro parlano di dolore e bellezza oggi e sempre. Con Andrea Sala diamo voce a un artista italiano che da anni racconta la storia degli oggetti che ci circondano e dei loro significati simbolici. Pensiamo che le esposizioni servano a questo: raccontare storie di bellezza e conoscenza e portarne consapevolezza alla comunità”.
La mostra di Berlinde De Bruyckere e Carol Rama
L’esposizione di Berlinde De Bruyckere (Gand, 1964) e Carol Rama (Torino 1913 – 2015) è congegnata intorno ad un’opera recentemente attribuita a Giovanni Angelo Del Maino, intitolata Dolente. Si tratta di una scultura lignea proveniente dalla Chiesa di Sant’Eufemia e realizzata nei primi decenni del XVI Secolo. L’opera è stata sottoposta a uno studio sulle possibilità di restauro da parte del Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale. Sara Abram, Segretario Generale del Centro, commenta: “l’idea è quella di portare in mostra un’opera non restaurata, perché spesso, quando si pensa al restauro, si parla di riportare all’antico splendore. Invece si tratta di conoscere e comprendere la storia di un’opera. Non si sa se nella storia dell’opera c’è stato un fruitore più importante di un altro. Studiare l’opera ci ha permesso di vedere quante volte quest’opera è stata presa in cura affinché continuasse ad essere rappresentativa per la società del suo tempo. Le opere devozionali spesso hanno questo aspetto, perché continuano ad essere un punto di riferimento”.
Scultura e incisione per Carol Rama
La scultura è lo spunto per una riflessione su temi attuali: la rappresentazione del dolore, il rapporto tra forza e fragilità e il trascorrere del tempo.
A proposito di Carol Rama, Alexandra Wetzel, curatrice della selezione, commenta: “non era un’incisora. A lei interessava solo la superficie che aveva davanti, pronta ad accogliere il segno. La lastra era nera quando preparata con la cera affumicata, di lucido metallo invece quando l’artista adoperava il pennello con l’inchiostro mescolato allo zucchero per l’acquatinta. Gli aspetti tecnici venivano risolti da Franco Masoero, suo stampatore e complice. Grande era la gioia mista a stupore quando l’artista aveva finalmente le stampe di prova davanti, travolgente al punto da indurla tante volte a prendere in mano gli acquerelli o gli smalti da unghie per intervenire direttamente sul foglio impresso”. Ciò ha reso complesso distinguere le opere uniche dell’artista dalle serie. Alessandra spiega come l’artista odiasse i fiori recisi che le venivano regalati, ma nelle sue opere rappresentava i fiori di campo, che sua madre metteva sui capelli durante le visite che l’artista le faceva all’ospedale psichiatrico, dopo il suicidio del padre.
Tra le opere esposte mani, pugni, parche e volti, opere di piccole dimensioni, ma piene di significato; Carol Rama rappresentava infatti nelle sue opere temi che l’avevano profondamente colpita, come quello della mucca pazza.
I disegni di Berlinde de Bruyckere
Nella sala, caratterizzata da luci soffuse e pavimento rosso, troviamo anche le sculture e i disegni di Berlinde de Bruyckere, protagonista quest’anno di una mostra personale a Venezia, presso l’Abbazia di San Giorgio Maggiore. Le sue opere, di forte impatto, sembrano raffigurare uno spazio intimo e domestico, nonostante le grandi dimensioni: letti con cumuli di coperte, corpi in metamorfosi tra essere umano e forme naturali. Il tema della metamorfosi del vivente è una possibile chiave di lettura.
La mostra di Andrea Sala
Il terzo atto del progetto sul Guardare è la prima mostra personale, in un’istituzione italiana, di Andrea Sala (Como, 1976). L’artista italiano è cresciuto tra l’Italia e il Canada e le sue sculture mostrano un interesse per il progetto e una passione per materiali fragili, come la terracotta e la ceramica.
Sala dialoga con opere provenienti dai depositi del Palazzo Vescovile, dove l’artista ha selezionato alcuni oggetti, custodie, paramenti liturgici e coppe e li ha inseriti in una nuova cornice, mutando la prospettiva in cui vengono fruiti e accompagnandoli con delle sculture da lui realizzate per questa occasione.Manuel Ferrari, Direttore dell’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Piacenza-Bobbio, spiega: “si sente sempre più la necessità di disporsi nella dimensione del Sacrato, la soglia tra Sacro e Profano. Non bisogna limitarsi a lucidare i gioielli di famiglia custoditi all’interno delle chiese, ma è necessario essere capaci di immaginare nuove contaminazioni e ibridazioni. L’arte contemporanea può svelare dei significati che rischiano di essere incomprendibili, soprattutto per i giovani. Alle opere di Sala si affiancano dei contenitori che custodiscono oggetti preziosi, quali Ostensori e calici, che a loro volta contengono quanto di più prezioso esiste per la Chiesa, l’Eucarestia. È una dimensione che oggi rischia di perdersi. I temi del custodire e della memoria, importanti anche per orientare il nostro futuro”.
A proposito della scelta delle zucche per le sue opere, Andrea Sala spiega: “tutto e partito da vari sopralluoghi nella collezione della Diocesi, non a caso ho scelto una serie di contenitori. Le zucche sono contenitori e con esse venivano costruiti i contenitori per il vino. Mi interessava l’aspetto del contenere e il materiale con cui lavorare. Le zucche vengono utilizzate per scopi ornamentali, come oggetti di design, centrotavola e soprammobili per uso domestico. Sono di due tipologie: con il vetro e con il rame smaltato. Due tecniche che a me piacciono molto, la vetrata non l’avevo mai fatta, ma mi interessava perché la mostra è un percorso, camminare e rievocare una serie di immagini, tra cui i sopralluoghi al museo Diocesano, la luce che passa attraverso la vetrata”.
Giulia Bianco
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