Alessandro Sambini a Milano. Il fotografo che si finge intelligenza artificiale
Imitando il modo di apprendere dell’AI, l’artista seziona le opere d’arte, associando a ciascun pezzo qualcosa che già conosce. Ecco che da un dipinto di Hayez emergono aragoste e ravioli cinesi
“L’Intelligenza Artificiale va affiancata. E così facendo può diventare uno strumento utile a creare nuove forme di espressione creativa”. È questo il pensiero – fiducioso, rispetto a chi vede solo il Male nella AI – di un artista che vuole imparare da queste macchine innovative. Imparare… in primo luogo ad imparare come fanno loro. Apprendere, mutuare e fare proprio quel loro modo di sezionare le immagini, astraendole dal contesto e confrontandole con il patrimonio di dati e informazioni di cui già si sono nutrite.
Si parla qui di Alessandro Sambini (Rovigo, 1982) e del suo progetto che porta avanti dal 2021. Una ricerca che parte dagli algoritmi, ne deriva una prassi di lavoro, e la applica per creare le sue opere. Il gesto dello scatto viene meno, anzi: è qualcun altro a scattare per lui. Sambini è un fotografo con l’Uni POSCA alla mano, che utilizza per tratteggiare riquadri e scrivere didascalie. Parte integrante di questo suo progetto in itinere è la nuova mostra realizzata da La Galleria BPER negli spazi di Banca Cesare Ponti a Milano.
Il metodo post-fotografico di Alessandro Sambini
Ma cosa guida, dunque, l’Uni POSCA nella mano di Sambini? Tutto parte dall’intento di imitare il modo di apprendere di un algoritmo: scomporre l’immagine in tanti riquadri e associare a ciascuno un’informazione simile già nota, specificandone l’affidabilità. L’artista prende una fotografia, e la analizza in modo analogo. La segmenta, delimitando ogni porzione con un rettangolo a pennarello: questo gesto, intrinsecamente artigianale, è ciò che preserva e salva l’umano dalla macchina. Tracciato il riquadro, ecco che comincia il processo di associazione tra ciò che si vede e ciò che già si sa. Alcuni rimandi visivi citano grandi artisti come Caravaggio, mentre un farsetto bianco dai ricami giallo-arancio può ricordargli “honey dripping on some yoghurt” – come scritto accanto nella didascalia.
La mostra di Alessandro Sambini in Banca Ponti a Milano
Per il terzo anno consecutivo, la storica sede della Banca in Piazza del Duomo torna a ospitare una mostra di arte contemporanea. Human Image Recognition, a cura di Andrea Tinterri e Luca Zuccala, con il contributo di Giorgia Ligasacchi, è però il primo appuntamento dedicato alla fotografia. Continuando la tradizione di dialogare culturalmente con la città, parte delle opere è visibile dall’esterno: un invito a lasciarsi incuriosire, superando il senso di distanza che una banca si trascina un po’ sempre con sé.
Alessandro Sambini fotografa e analizza Francesco Hayez
La prima delle tre sezioni che compongono la mostra si incentra sulla più grande pittura di storia mai dipinta da Francesco Hayez. Maria Stewart che sale al patibolo (1827). Un enorme capolavoro di proprietà della Banca. “Se non l’avessi visto per la prima volta ‘già riprodotto su tela’, non mi sarebbe mai venuto in mente di lavorarci su”. L’opera, infatti, all’arrivo di Sambini sul luogo, era temporaneamente in prestito, sostituita da una riproduzione. “L’idea che un quadro avesse già degli affiliati visivi mi ha ispirato”. Tre nuove copie del dipinto sono esposte nelle vetrine d’ingresso. Su ciascuna, si notano i riquadri “umanamente artificiali”, tracciati con gli Uni POSCA a contrasto. Scorrendo le didascalie – risultato del suo processo associativo – si viaggia con l’immaginazione nella mente di Sambini, riconoscendosi in molte delle somiglianze da lui trovate. Dall’Urlo di Munch ai riferimenti al cibo aragosta, fegato, e persino wonton a vapore.
Il messaggio chiave è nelle mani intrecciate in preghiera di uno degli uomini che assistono alla scena. È in esse che l’artista vede l’AI stessa. Le mani sono infatti il mezzo che ha l’uomo per riaffermare la sua presenza, quanto uno dei soggetti che la macchina fa più fatica a riconoscere.
Tra paesaggi da cartolina e fotografie “artificiali”
Il secondo corpus di lavori raccoglie una serie di fotografie di paesaggi piuttosto banali, fatte da amici e conoscenti, a cui è applicato lo stesso metodo di analisi. Anche foto di massa possono dunque diventare occasione di ricerca e riflessione.
Infine, arriva il momento di mettere davvero alla prova i due protagonisti, facendoli collaborare in sinergia. Da una parte c’è l’artista, che ben conosce i lavori di tre celeberrimi fotografi – Jodice, Adams e Gursky – e dall’altra l’intelligenza artificiale.Tracciando schizzi digitali Sambini fornisce all’algoritmo tutti gli input necessari a creare tre fotografie. Tre paesaggi, che aspirano a ricostruire gli scatti dei grandi personaggi appena citati. A un occhio poco attento, potrebbero sembrare proprio le foto originali. Ma è un inganno: sono solo i prodotti di una collaborazione – prolifica – tra uomo e macchina.
Emma Sedini
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