L’artista David Tremlett prepara un’opera monumentale all’Ex Caffarri di Reggio Emilia
L'opera, che sarà svelata a ottobre e affiancata da una mostra ai Chiostri di San Pietro, contribuirà alla riqualificazione sociale di un'area industriale degradata affiancandosi a progetti educativi e artistici
È un amore lungo una vita quello che lega l’Italia al famoso artista britannico David Tremlett (St. Austell, Cornovaglia, 1945), che con i suoi drawing permanenti ha lasciato il proprio segno in tutto il Paese, dal borgo di Peccioli alla metro di Napoli, da Piacenza alle Langhe. L’intervento che l’artista realizzerà all’Ex mangimificio Caffarri di Reggio Emiliasegna così un ritorno “a casa”, che si arricchisce tuttavia di una più profonda connotazione sociale e collettiva: l’opera collaborerà alla riqualificazione di un’area industriale degradata che sta venendo pian piano restituita alla cittadinanza. Ora siamo solo agli inizi: il monumentale disegno 13 Silos, da realizzarsi sulla facciata di uno degli edifici industriali (oggi convertito a uso educativo) e sui vecchi silos del mangimificio, sarà inaugurato a ottobre, contemporaneamente all’apertura di una grande mostra ai Chiostri di San Pietro (sempre più polo del contemporaneo) che racconti il lungo percorso artistico di Tremlett.
L’arte pubblica a Reggio Emilia e la riqualificazione delle aree industriali
In collaborazione con la Fondazione Palazzo Magnani, il Comune di Reggio Emilia continua con questo progetto a investire nell’arte contemporanea come strumento di ripensamento di aree problematiche. Una direzione impressa più di vent’anni fa con il progetto di arte pubblica del 2003-2006 Invito a… dell’artista Claudio Parmiggiani, che ha chiamato a raccolta quattro grandi nomi dell’arte contemporanea per produrre opere per la città: i lavori di Robert Morris, Luciano Fabro, Eliseo Mattiacci e Sol Lewitt hanno posto le fondamenta di una collezione museale diffusa e aperta a tutti, che si è arricchita con il passare degli anni. L’ultimo intervento CuriosaMeravigliosa di Joan Fontcuberta è comparso sulla facciata del Palazzo dei Musei nel 2022.
In un’ottica più marcatamente sociale, il Comune ha quindi guardato all’area nord della città, allo storico quartiere di Santa Croce e in particolare all’Ex Caffarri, edificio che da luogo di abbandono sta trasformandosi in un polo di formazione e aggregazione di comunità, soprattutto di giovani, con l’aiuto di diverse realtà tra l’educativo, l’ecologico, l’artistico e lo sportivo: hanno qui sede la Fondazione Reggio Children, il Centro di Riciclaggio Creativo Remida, The Lego Foundation, il Centro Teatrale MaMiMò e una palestra di boxe. È accanto a loro che andrà a collocarsi l’intervento di Tremlett, coinvolto su proposta della curatrice e ricercatrice Marina Dacci che sarà anche curatrice dell’esposizione Another Step in apertura in autunno ai Chiostri.
Intervista a David Tremlett sull’intervento a Reggio Emilia
Quando sei stato invitato all’Ex Caffarri ti è stato dato libero sfogo su dove intervenire: perché hai scelto l’ingresso e i silos?
Sin dalla prima visita, e vedendo le grandi dimensioni sia dei silos sia dell’area scolastica, sono stato molto colpito dalla portata dell’ambizione di coloro che stanno sviluppando il complesso educativo. A cominciare dall’utilizzo di edifici abbandonati e inutilizzati per l’istruzione delle nuove generazioni. I silos dismessi rappresentano un’enorme costruzione senza reale valore funzionale ma in termini di ‘presenza’ erano inevitabili e centrali rispetto alla zona in cui doveva avvenire la rigenerazione. Quindi il legame tra la scuola e i silos era intrinseco ed evidente.
In che modo l’ambiente locale ha ispirato la tua visione? E come hai adattato le tue famose strutture geometriche allo spazio?
La scala, il numero e la varietà degli edifici ex industriali presenti nella zona sono impressionanti. È stato questo “puzzle” di costruzioni, combinato con il mix di abitanti, età e loro interessi, che mi ha fatto riflettere su come lavorare sulla facciata della scuola e, in secondo luogo, su come lavorare sulle superfici dei silos. Il design della facciata della scuola è una semplice struttura verticale e orizzontale con divisioni di colore che agiscono come una muratura sullo sfondo. I silos erano un problema diverso da risolvere: sono eleganti, monumentali, accattivanti, e una volta persa la loro funzione originaria sono diventati un simbolo. Amavo la finitura metallica originale, ma sentivo che era giunto il momento di dare all’esterno un nuovo significato: non hanno più una funzione economica, il loro nuovo scopo è quello di essere ammirati. I miei colori, che passano dal chiaro (al centro) allo scuro (alle estremità), mantengono tutta l’imponenza dei cilindri con il movimento dei toni, portando lo sguardo da sinistra a destra.
Pensi che il tuo lavoro contribuirà a favorire la crescita delle comunità locali e parlerà alle generazioni più giovani?
Quando l’arte è coinvolta, aggiunta o ha un ruolo in qualcosa, diventa un interrogante che crea un discorso. Questa è la sua funzione secondo me: non deve solo compiacere gli occhi ma incoraggiare il pensiero e la conversazione. Con una comunità come questa, la mia più grande soddisfazione sarebbe un dialogo generale da parte di tutti gli abitanti sul legame tra il mio contributo e la nuova funzione dell’Ex Caffarri.
Questo è solo l’ultimo dei tanti tuoi lavori visibili in tutta Italia, dalle Langhe a Palermo: puoi dire di avere un rapporto speciale con questo Paese?
È una lunga storia, ma dal 1974, quando ho visitato per la prima volta l’Italia (Bari), fino ad oggi, ho cercato di comprendere e coinvolgermi nel vostro Paese. Rimane ancora in cima alla mia lista dei Paesi che ho avuto il privilegio di visitare e in cui lavorare e sono ancora sconcertato dalla sua attrazione. Non sarà mai superato!
Giulia Giaume
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