La sintonia tra corpo e paesaggio nelle opere di Elena Mazzi a Milano
Ispirata dalle vertebre dei cetacei ritrovate sulle spiagge dell’Islanda, l’artista crea le sue sculture-gioiello. Opere in cui i resti ossei si fondono con l’argento e dialogano con i vetri di Murano
La cura, l’indagine e il metodo. Elementi portanti dell’opera portata avanti negli anni dall’artista Elena Mazzi(Reggio Emilia, 1984). Fili rossi che uniscono tutte le opere in mostra presso la galleria milanese Artopia, dal titolo Epimeleia, ovvero una delle tre parole usate nella Grecia antica per definire la cura, indicante nello specifico “la cura che si prende la responsabilità dell’esistenza per farla fiorire”.
L’origine della mostra di Elena Mazzi da Artopia a Milano
I tre corpus di lavori ospitati nello spazio di Via Lazzaro Papi – dal video alla scultura, passando per la fotografia – concorrono tutte alla visualizzazione di un medesimo messaggio, la cura e la ricerca di una sintonia tra corpo e paesaggio. Tutta l’idea nasce da un incidente: l’artista emiliana si frattura le vertebre della schiena, con la conseguenza di dover andare in Islanda per curarsi all’interno di piscine naturali in grado di alleviare e curare il disagio. Lì, sulle spiagge rocciose del luogo, scopre curiose vertebre di cetacei, documentate in mostra in un video. Da queste nascono still-life ironici in edizione limitata e “piscine immaginarie” sottoforma di sculture-gioiello – dal titolo Becoming with and unbecoming with – in cui i resti ossei in fusione d’argento dialogano con i volumi in vetro di Murano. Una produzione inedita, in grado di coniugare significato intrinseco ed estetico, cominciata nel 2018 e presentata qui per la prima volta in assoluto.
Le opere in mostra da Artopia a Milano
La mostra prosegue al piano terra, dove il pubblico viene accolto dall’installazione Written and unwritten dance(2023), dedicata ad una versione meno nota della danza della Taranta – la Pizzica Serpentata Cegliese – di cui l’animale simbolo è il serpente. La dimensione archetipica dei grandi teli preziosi che si distendono sinuosi a pavimento, imitando appunto il movimento del serpente, si affianca a quella collettiva di POÇ (2023), che in lingua friulana significa pozzo. Si tratta di un film: una riflessione poetica attorno a una piscina scavata nella roccia. È una trasposizione del recente progetto partecipativo realizzato dall’artista nelle montagne del Friulicon la comunità di Moggio Udinese.
Le tele esposte, essenziali in apparenza e curate concettualmente, perfezionano esteticamente l’aspetto altrettanto organico dei lavori già illustrati del piano superiore, accogliendo il pubblico in un ambiente pacifico, che induce a una profonda riflessione.
Ilaria Introzzi
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