Gli arcangeli di Berlinde De Bruyckere in una grande chiesa di Venezia
Evento collaterale della Biennale di Venezia, la mostra dell’artista belga Berlinde De Bruyckere si appropria degli spazi dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore
La mostra veneziana di Berlinde De Bruyckere (Gand, 1964) è intitolata City of Refuge III, dalla canzone di Nick Cave, ed è la terza di una serie di rassegne dell’artista che tematizzano l’arte come luogo di rifugio e riparo.
All’ingresso della palladiana Basilica di San Gorgio Maggiore (sita sull’omonima isola prospicente Piazza San Marco), si è accolti da un primo gruppo di opere, cariche di pathos: tre arcangeli, uno nella navata centrale e due in quelle laterali,figure velate dalle forme umane. Ognuno di questi emerge da un gruppo scultoreo composto da tre elementi: un piedistallo, uno specchio – inclinato, per mostrare il soggetto e la chiesa da varie angolazioni, quasi a creare delle illusioni – e uno stendardo, che ricorda i tessuti utilizzati durante le occasioni liturgiche. L’artista racconta come una parte importante del lavoro di allestimento si sia svolta all’interno della chiesa e come questa sia diventata il suo studio. Ha guardato con attenzione la luce per decidere dove posizionare le opere e gli specchi. Aveva creato altri drappi di stoffa colorata, che non ha utilizzato perché non voleva sopraffare il visitatore, ma dialogare con l’ambiente, dato che nella chiesa sono altresì presenti due quadri di Tintoretto.
La mostra di Berlinde De Bruyckere a Venezia
I piedistalli e gli stendardi sono delle sculture a sé stanti: tramite il movimento del tessuto e il modo in cui la luce coglie alcuni dettagli del pilastro dalla patina argentata, da lei realizzato.
Berlinde De Bruyckere spiega che Carmelo Grasso – direttore della Benedicti Claustra Onlus, ramo no-profit della Comunità Benedettina, e curatore della mostra insieme a Ory Dessau e Peter Buggenhout – le ha mostrato i tessuti conservati nell’Abbazia, da cui è rimasta molto colpita.
L’altro pilastro e invece di ferro arrugginito ed è uno degli oggetti che l’artista trova, conserva, anche per anni e, al momento giusto, riutilizza. Di questo l’ha affascinata la forma distorta e il fatto che dietro sia vuoto. Vuole essere un nesso con Venezia, in cui molti oggetti sono erosi dal contatto continuo con l’acqua.
Gli arcangeli danno l’idea di un movimento ascendente, della differenza tra umano e divino. Le loro membra sono più grandi del reale e si inseriscono perfettamente nel contesto di riferimento, architettonico, scultoreo e pittorico.
L’artista ha iniziato questo progetto nel giugno del 2023 e la serie degli angeli nell’agosto dello stesso anno. Solo dopo la pandemia ha infatti ripreso il tema del corpo umano nelle sue opere.
Natura morta come simbolo di resurrezione nelle opere di Berlinde De Bruyckere
Nella sacrestia è collocato il secondo gruppo di opere: ricostruzioni in cera di un albero caduto che l’artista ha trovato in una foresta, nel dicembre 2023. Fatto a pezzi da un fulmine e ricoperto dalla ricrescita dell’erba, De Bruyckere l’ha portato nel suo studio, colpita dalla sua eleganza.
A questo ha unito tre tavoli da saldatura, anch’essi oggetti trovati, che insieme formano una natura morta. L’artista vuole trasmettere i sentimenti che si provano di fronte ad una catastrofe, come ci si sente piccoli e impotenti. Un riferimento all’attualità e al momento critico in cui viviamo, al nostro rapporto con la natura, le guerre e al non imparare dai nostri errori passati.
Il lavoro di Berlinde De Bruyckere è ricco di dichiarazioni d’intenti: vuole parlare a chi ha fede e “consolidare la nostra presenza nella chiesa, dopo tutti questi secoli”; dopotutto “il motivo per cui andiamo in chiesa è per cercare la spiritualità”. Ma allo stesso tempo parlare alle persone degli altri credi o atee, tramite simboli universalmente noti.
Giulia Bianco
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