Ecco com’è il Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia nel carcere femminile
È dedicata al tema dei diritti umani la partecipazione del Vaticano alla rassegna lagunare e il Papa, per la prima volta nella storia, lo visiterà il 28 aprile 2024
Il Padiglione della Santa Sede è dedicato al tema dei diritti umani, perno delPontificato di Papa Francesco che il 28 aprile visiterà il Padiglione, come mai nella storia nessun pontefice aveva fatto prima di lui. “Siamo molto onorate che abbia scelto proprio noi e lo aspettiamo” spiega una detenuta.
Il Padiglione della Santa Sede e la Casa di detenzione femminile della Giudecca
Il progetto è impegnativo, ma al contempo ricco di spunti di riflessione, perché si svolge all’interno della Casa di detenzione femminile della Giudecca. Le visite al Padiglione, su prenotazione, sono condotte dalle detenute e mostrano un tentativo di erodere i confini tra dentro e fuori, tra osservatore e osservato. Questo risultato viene raggiunto esplorando le loro storie e arricchendo le opere esposte con il contributo delle detenute, attraverso poesie e la scoperta dei loro spazi vitali, come l’orto e il giardino. Si tratta di un messaggio universale di inclusione. Il percorso inizia con la Caffetteria, in cui sono collocate le opere della suora Corita Kent, artista americana nota per il suo attivismo, ma anche icona della Pop Art. Le divise bianche e nere, che indossano le donne della Casa mentre fanno da guide durante il percorso, sono state realizzate da loro stesse in una delle attività che alcune di loro svolgono insieme alla coltivazione di legumi nell’orto, alla lavanderia e alla produzione di cosmetici e saponi per gli alberghi.
Segue un corridoio, ai cui lati sono esposte le opere di Simone Fattal: placche di lava smaltata recanti disegni e parti di poesie, che si fa fatica a leggere. “È quello che l’artista voleva far capire”, commenta un’altra detenuta, “di certe persone non ci si interessa. Noi abbiamo scritto alcune poesie che sono state incluse nell’opera”. L’opera di Maurizio Cattelan si trova invece all’esterno dell’edificio,sulla facciata della Cappella, e colpisce per dimensioni e impatto emotivo. “I piedi, insieme al cuore, portano la stanchezza e il peso della vita”. All’interno del Cortile centrale, Claire Fontaine pone la sua opera: Siamo con voi nella notte, in dialogo con una seconda installazione luminosa, dal titolo White Sight. La prima esprime solidarietà e conforto, nel momento in cui, al buio, i mostri e le paure ci vengono a trovare. “Aiuta a non sentirsi soli e ti senti più protetto”. Un occhio sbarrato per“le cose che non si vogliono vedere.Le persone preferiscono chiudere gli occhi, o peggio guardano, ma hanno una cecità dentro”, commenta una delle detenute.
Per un attimo nel giardino, ammirando l’erba verde e l’orto ordinato, non ci si accorge di essere all’interno di un carcere. “Sembra di essere in campagna dai nonni, ti fa dimenticare il posto in cui siamo”. Una detenuta fa notare un dettaglio che potrebbe sfuggire, sul cortile c’è una stanza la cui finestra non ha le sbarre. Un particolare di cui quasi non ci si accorge, ma che, per le abitanti della casa di detenzione, provoca “un’emozione che non potrei descrivere”. La sala colloqui genera reazioni contrastanti nelle guide. Per qualcuno è il luogo più felice, dove ricevono le visite dei propri cari, per qualcun altro è un luogo di dolore, per chi non riceve visite o per chi deve fingere che tutto vada bene e poi salutare i propri familiari. In conclusione “la Biennale ci ha dato la possibilità di essere protagoniste e non solo spettatrici passive, di essere parte di qualcosa, anche se di temporaneo. Ci siamo messe in gioco e abbiamo vinto. Vincere significa sentirsi liberi, anche se per un istante”.
Il Padiglione della Santa Sede e il significato profondo dell’arte
L’artista e regista Marco Perego e Zoe Saldana propongono un cortometraggio, girato nel cuore della Casa di reclusione femminile, immergendo lo spettatore in un viaggio introspettivo alla ricerca del significato della libertà. La partecipazione delle detenute, in veste di attrici, rende la produzione particolarmente intensa. Claire Tabouret ha realizzato le sue opere partendo dai ritratti da bambine delle detenutee dei loro affetti, installati in una grande quadreria nella sala adiacente alla Cappella. L’arte diventa un mezzo di riscoperta personale, un modo per vedere sé stesse attraverso una luce diversa, “siamo detenute, ma siamo arte”. Infine, Sonia Gomes presenta un’installazione composta da sculture sospese dal titolo Sinfonia, tra i balconcini teatrali e i confessionali della Cappella. L’artista, visibilmente commossa, ha commentato: “uno dei momenti più emozionanti della mia vita. Mi sono resa conto grazie a questa installazione di quale sia il senso dell’arte. Una delle ospiti mi ha detto grazie di portare colore. E infatti lo scopo e far guardare in alto, portare bellezza e leggerezza”.
Il Padiglione della Santa Sede “Con i miei occhi”
La curatela è stata affidata a due dei più importanti curatori del panorama artistico internazionale, Chiara Parisi e Bruno Racine, che hanno chiamato a partecipare 8 artisti senza distinzioni legate alla fede, quali: Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana e Claire Tabouret. Per Chiara Parisi, la forza del progetto risiede nella sua idea di fondo: “in un angolo sorprendente del mondo, artisti e detenute uniscono le forze espressive in un’insolita collaborazione, la realtà penitenziaria e l’illimitata espressione artistica si incontrano e si seducono”. “Il visitatore”, spiega Bruno Racine, “è invitato a immergersi in questa esperienza poetica intensa, privato dei suoi dispositivi digitali e guidato da detenute formate, affrontando così un viaggio che sfida preconcetti e apre nuove prospettive sull’arte come mezzo di espressione e connessione umana”. È interessate la scelta di dare la possibilità di esprimersi a soggetti che sono spesso considerati estranei alla società e colpisce la passione con cui le detenute partecipano a questo progetto e quanto per loro sia importante avere l’occasione per farsi sentire e non rimanere spettatrici isolate di un mondo che possono vedere solo attraverso le sbarre. Sembra essere il filo conduttore di un sentimento che attualmente, e in particolare in questa edizione della Biennale, pervade alcuni artisti, come Reza Aramesh: quello di rappresentare gli esclusi, gli emarginati e sollevare questioni in merito a coloro che non sono stati finora rappresentati. Le risposte a queste domande non dipendono, credo, solo dall’intento degli artisti, ma anche dal bagaglio culturale e da ciò che ha dentro ognuno di noi, il nostro passato e le nostre esperienze.
Giulia Bianco
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