Papa Francesco arriva alla Biennale di Venezia. L’opinione di padre Antonio Spadaro

Il 28 aprile Papa Francesco visiterà la Biennale di Venezia. Un avvenimento che innesca alcune riflessioni, a partire dal tema della mostra “Stranieri ovunque” e su come questo è da interpretare in chiave cristiana.  L’opinione di padre Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero Vaticano per la Cultura e l'Educazione

Francesco è il primo Papa a visitare la Biennale di Venezia, che quest’anno ha per titolo Stranieri ovunque. È singolare sia proprio un pontefice che invece ha fatto della “cittadinanza” uno dei temi chiave del suo magistero, e sin da quando era arcivescovo di Buenos Aires. Scriveva in un suo discorso fortemente militante del 2010: “essere cittadini significa essere interpellati per una lotta, la lotta dell’appartenenza a una società e a un popolo. Smettere di essere una massa di individui per essere persone, per essere società, per essere un popolo”.

Papa Francesco alla Biennale di Venezia 2024. La differenza tra “stranieri” e “cittadini”

D’altra parte, proprio Francesco è il Papa che si è dovuto confrontare col tema della migrazione come “nodo politico globale”, e con le molte forme di estraniamento sociale che caratterizzano i nostri tempi, anche nelle città ribollenti di differenze, che lo hanno portato a formulare i concetti negativi di “anti-città” e “non-cittadini”. Ma anche a pensare che per capire il “centro” è necessario guardarlo dalla periferia in una operazione di “non-coincidenza”, come direbbe ad esempio François Jullien, che ha deciso di comprendere il logos greco a partire da quello cinese. Similmente per Francesco serve lo sguardo estremo per poter capire il senso dell’Europa del XVI secolo: l’estremo Occidente (Magellano) e l’esterno Oriente (Matteo Ricci). Estremo non esterno. Ora come allora: essere stranieri ed essere cittadini sono i due poli tra i quali si stabilisce una tensione permanente.

La Chiesa cattolica e il tema dello “straniero”

Ed è la stessa polarità che si trova nella Chiesa: da una parte essa è ekklesia, che chiama, convoca, riunisce, aggrega e genera appartenenza; d’altra parte, essa ha la propria “cittadinanza nei cieli”. Scrive Bergoglio nel 2008: “come Abramo, che ha camminato come fosse uno straniero per la terra promessa, così anche noi ogni giorno camminiamo stranieri per la nostra stessa città”.

Quale la cifra per capire questa tensione? Credo sia il fatto che “straniero” non significhi affatto “estraneo”, ma che possieda quella “stranezza” dal prezioso valore conoscitivo: il poeta gesuita Gerard Manely Hopkins, amato da Francesco, lodava Dio per “tutte le cose contrarie, originali, dispari, strane”. Oggi è invalso definirle queer: è un modo come un altro. Straniero indica pure quella “estraneità” che permette di appartenere, ma non di cadere né nell’anonimato né nella noia dell’identità sempre uguale a se stessa.

“Stranieri Ovunque”: cosa ne penserà Papa Francesco?

Il tema della Biennale è un appello o una constatazione? Sarà l’occhio dello spettatore a giudicare, visitando padiglione e padiglione. Tuttavia, ci pone a un bivio. Il rischio, infatti, è che si risolva la “differenza” nella parola straniero, come se le differenze creassero di per sé estraneità e alienazione; come se la differenza fosse talmente irriducibile da fare di noi stranieri gli uni agli altri, chiusi nelle nostre bolle di stranezza. La Biennale ci presenta in maniera estensiva il tema delle differenze, della pluralità, a ogni livello (e in maniera ostinatamente anticoloniale). Volerle risolvere in estraneità è pericoloso. “Rendiamoci prossimi in mezzo alle differenze”, chiedeva Bergoglio da Buenos Aires nel 2001. In un tempo di nazionalismi, identitarismi e xenofobie, la sfida oggi è esattamente l’opposto dell’estraneità, dunque: l’integrazione, l’armonia, l’accoglienza, la contaminazione, il diritto di cittadinanza, l’impegno, il riconoscersi tutti insieme alla ricerca di un “bene comune”, del quale l’arte è cifra e profezia.

Antonio Spadaro

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