Dopo 10 anni Spazio Morris a Milano ritorna a fare mostre. All’interno di uno studio d’artista
Il laboratorio di ricerca fondato da Alessandra Pedrotti e Marta Pierobon riparte, a dieci anni dall’ultimo progetto espositivo, con la prima mostra milanese di Andrea Kvas, ospitata nell'atelier di un altro artista
Nei pressi di Porta Romana a Milano, in un grande appartamento dismesso dagli Anni Ottanta, Alessandra Pedrotti e Marta Pierobon hanno dato vita a Spazio Morris, una realtà non profit che attraverso mostre, residenze e progetti site specific ha dato visibilità ad artisti italiani dal 2010 al 2013. “L’esperienza di Spazio Morris è terminata a causa di diversi impegni legati alle nostre rispettive carriere di artista e regista, ma con l’idea e il desiderio che un giorno avremmo ripreso la nostra attività di ricerca“, spiegano ad Artribune le fondatrici. A dieci anni dall’ultimo progetto espositivo, “abbiamo trovato le condizioni per riaprire Spazio Morris con una nuova formula. Non lavoreremo in una sede prestabilita ma in spazi ogni volta diversi in base al progetto che vogliamo presentare. Il programma è di realizzare due progetti all’anno, primavera e autunno, tenendo come riferimento Milano ma anche con qualche incursione all’estero“.
Ad inaugurare il nuovo percorso intrapreso da Spazio Morris è Andrea Kvas (Trieste, 1986) con il progetto A new golden age of guano, in programma dal 6 aprile al 12 maggio 2024 all’interno dell’atelier dell’artista Giovanni de Francesco.
La mostra “A new golden age of guano” di Andrea Kvas a Milano
Per la sua prima mostra personale milanese, Kvas ha ideato un’installazione site specific all’interno dello spazio espositivo, realizzata nei sette giorni precedenti l’opening, durante i quali il pubblico ha avuto la possibilità di assistere al “work in progress”. A partire da una forma astratta che ricorda il profilo di un uccello, il pittore triestino ha riprodotto la sagoma un migliaio di volte attraverso un processo di stratificazione, saturando lo spazio a sua disposizione in varie forme e combinazioni con resine sintetiche, pigmenti e impasti di cellulosa. Un lavoro che esprime appieno l’approccio istintivo e giocoso che l’artista triestino ha con la pittura, decostruendo e radicalizzando il rapporto che la lega al suo supporto. Una ricerca che ha portato l’artista a trovare intersezioni con le pratiche scultoree, performative e relazionali, instaurando un rapporto dialogico con gli oggetti, lo spazio e il pubblico.
Valentina Muzi
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