I tempi bui di Franko B. Una mostra a Torino racconta la tragedia della guerra
Gaza, guerra, infanzia e traumi, violenza, queerness sono i nodi nevralgici nella la mostra personale dell’artista e performer che si mette a nudo in Barriera di Milano a Torino
La guerra, la violenza, l’infanzia nella mostra di Franko B (Milano, 1960) dal titolo “No Gatekeepers of My Heart“, inaugurata nel contesto del festival internazionale di fotografia di Torino, EXPOSED in Barriera di Milano.
A cura di Sergey Kantsedal in collaborazione con Katya Kabalina, il progetto presenta una serie di opere dell’artista realizzate negli ultimi anni, ad eccezione per alcuni lavori in resina e fotografie che documentano le sue performance. Di produzione più recente troviamo invece tele cucite e dipinte, installazioni, video e neon.
La politica secondo Franko B
In quanto artista indipendente, che sceglie di non essere rappresentato da una galleria, in questa mostra – e quotidianamente – Franko B si espone senza esitazione, prendendo forti posizioni anche su questioni politiche. Proprio come lui, le sue opere sono un inno all’autodeterminazione e alla libertà di essere e non-essere, che riflettono le esperienze che hanno dato forma alla sua vita e al suo sguardo.
Attraverso la sua storia personale, fatta di violenza, vita underground, traumi infantili, punk e queerness, Franko B ci trascina nel presente affrontando temi come discriminazione, disagio, morte, ma anche amore e tenerezza.
L’infanzia di Franko B
I numerosi lavori esposti, nati da un’esigenza introspettiva e chiaramente autobiografica, celano una forza espressiva universale che si nasconde tra le sfumature di frasi e parole iconiche nel lavoro dell’artista, come “Love” e “I miss you”. Così, il linguaggio dei lavori di Franko B si apre al mondo, attraverso una morfologia visiva diretta e potente come nella serie di disegni sugli specchi (2019-20) o in Object Wrapped (2023), una bicicletta ricoperta di tele macchiate con il sangue dell’artista. Franko B trasforma immagini, oggetti, parole e frasi in vere e proprie dichiarazioni emotive che richiamano quel sentimento di ingenuità e purezza tipico dell’infanzia.
Tra le installazioni presenti in mostra emerge I am here (2024), un banco da scuola al cui interno è stato installato uno schermo che trasmette in loop un flusso violento di immagini cucite insieme, trovate sui social, blog e giornali. Un collage visivo che riflette le tragedie dei nostri tempi: fragili gommoni stracolmi di persone migranti, città martoriate dai bombardamenti, bambini feriti tra le macerie, violenza, morte.
Guerra, bambini, Gaza: l’artista testimone del presente
Sempre da immagini trovate su blog e social, l’artista ha ricavato la serie Here Comes the Rain (2024). Con un filo rosso ha cucito su vecchie camicie da notte immagini di bambini dal volto ferito, con un mitra in mano o in lacrime tra le braccia della madre, alternate da parole e frasi di impatto come “Unloved” o “Bombing children is not self defence”. Così, Franko B, testimone del nostro presente, ci costringe a confrontarci con la realtà cruda e spietata della condizione dei bambini, vittime della violenza della guerra con particolare attenzione a ciò che sta accadendo in questi mesi (e da anni) in Palestina. Le sue opere, impregnate di immagini crude e potenti, ci mostrano con angosciante delicatezza la brutalità del mondo contemporaneo, senza filtri o edulcorazioni ma senza cadere in una rappresentazione morbosa e deviata: “È la pornografia dei media, mostrare dolore e sofferenza, è la nuova pornografia” spiega l’artista.
Parlare di guerra con l’arte
Uno dei temi centrali della mostra, e una costante della ricerca di Franko B, è il tema dell’infanzia e la violenza ad essa collegata. Questo lo ritroviamo anche nella scultura Sleeping Beauty (2017), opera in resina con cromatura in argento, realizzata a partire dalla fotografia del corpo di un bambino siriano, annegato nel Mediterraneo durante il tentativo di arrivare in Grecia con la sua famiglia.
Parlare di politica e discriminazioni con l’arte, senza cadere nella retorica o nell’appropriazione, è un procedimento complesso; Franko B è riuscito a parlarne con grande rispetto ed empatia, senza edulcorare la tragicità dell’immaginario che rievoca.
Manipolando alcune immagini mediatiche, ha dato corpo, forma, spazio e tempo a tragiche fotografie di cronaca, che solitamente hanno un impatto effimero e passeggero sulla coscienza collettiva.
Nella serie dei cartoncini Fuck (2024) – che apre o conclude la mostra – Franko B ci sfida a prendere posizione, a uscire dalla convenzione e a dire “Fuck presidents”, “Fuck beretta shotgun”, “Fuck art collectors”, “Fuck the system”. Nella speranza che la convenzione cambi e che chi ricopre le posizioni di potere e privilegio si renda conto che la direzione che sta prendendo questa società è totalmente sbagliata, per citare Franko B, “Fuck everybody”, “Fuck Fuck Fuck”.
Marlene Luise Müller
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