Le fotocopie d’artista di Giovanni Blanco a Milano
Tutto comincia e finisce in un trompe l’œil in cui la parete della galleria si confonde con la pittura. È solo l’inizio di questa mostra impressionante dell’artista siciliano
Sulla parete di fondo della Nuova Galleria Morone a Milano compare una libreria grigia composta da cinque scaffali vuoti che raggiunge i due metri e mezzo di altezza per due di larghezza. Si tratta in realtà di un olio su tela di buona verosimiglianza dove sono state riportate negli intervalli di ogni scaffalatura le ombre dettate dalla luce che entra di lato dalla vetrina su strada disposta a sinistra, e quelle dell’illuminazione a led che arriva dal soffitto. Dipingere l’ombra è una costante della pittura italiana, da Leonardo passando per Tiepolo e Caravaggio. Gabriele Salvaterra, il curatore di questa potente personale di Giovanni Blanco (Ragusa, 1980) ne è convinto e me lo ha fa notare sommessamente quasi di nascosto dall’autore.
Il trompe l’œil di Giovanni Blanco nella mostra a Milano
Qui in ogni caso ci troviamo di fronte a un trompe l’oeil, vocabolo che forse non piacerà né a Blanco né a Salvaterra. Eppure di tromp l’oeil si tratta, seppure in negativo perché anziché riempire una parete vuota rappresenta lui stesso un vuoto messo di proposito in contrapposizione ai pieni dei tredici acrilici in formato 57x41cm che stanno appesi alle altre pareti. Tutti dipinti esclusivamente in bianco e nero.
Chi è Giovanni Blanco
Blanco è nato a Ragusa e vive ora a Modica in quel triangolo della Sicilia del sud che ha visto fiorire intono alla figura di Piero Guccione una scuola di pittura che ancora nella figura di questo maestro, in special modo nei suoi paesaggi marini, si riconosce. Blanco, però, a questa scuola non appartiene né per formazione (ha studiato fuori dall’isola e precisamente all’Accademia di Belle Arti di Bologna con Massimo Pulini) né per elezione. Come altri, pochi, pittori siciliani ha una buona tecnica ma sono le intenzioni a fare la differenza. La sua pittura è un mezzo e non un fine, come invece accade con risultati aulici per altri più celebrati artisti della sua generazione che operano nell’isola.
La mostra di Giovanni Blanco alla Nuova Galleria Morone a Milano
L’arte di Blanco è difficile da definire, ma la tecnica è molto particolare. Anche qui, come in altre sue occasioni espositive, dopo il primo attimo di sorpresa, si apre con forza agli occhi di chi osserva. Un nudo, un vaso di fiori, un memento mori ambientato nella cucina di casa (con tanto di frigorifero sullo sfondo), l’immancabile barbagianni (animale feticcio in cui l’artista si identifica), una sedia, una foto ritratto della mamma, un crocifisso senza braccia, la facciata di un “classico” non-finito siciliano… sono soggetti autobiografici, riflessivi e apparentemente senza nessun legame.
Le opere di Giovanni Blanco alla Nuova Galleria Morone a Milano
Si tratta di un atlante privato insomma, un espediente comune nella pratica artistica di tutti i tempi: qualcosa di simile a quello di Aby Warburg o più di recente di Gerhard Richter? Non proprio. L’archivio da cui Blanco attinge è fatto di immagini messe da parte pigramente, con l’intento di non perderne l’innesco, ma verso cui non impegnarsi immediatamente. I soggetti presi in considerazione sono riproduzioni meccaniche che, a sua volta, egli riproduce in ogni dettaglio con un virtuosismo che non esclude la presenza delle imprecisioni generate dalla macchina: sbavature piccole o grandi, graffi, cadute di tensione nel toner di alimentazione dell’inchiostro. Ogni acrilico risulta valido in sé, ma è la pittura assoluta di Blanco a giustificare l’insieme.
E, a questo punto, è impossibile non ritornare con lo sguardo alla grande libreria vuota, l’inizio e la fine, l’uroboro che ha generato le immagini in bianco e nero, fuggite dalle sue mensole e che ora animano le pareti.
Aldo Premoli
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