La contemporaneità del Medio Oriente. Hassan Sharif in mostra a Torino
Alla Galleria Franco Noero si svolge la prima retrospettiva italiana dell’artista iraniano Hassan Sharif, che con la sua pratica multidisciplinare ha testimoniato i cambiamenti del Golfo Persico
La Galleria Franco Noero propone una sintesi del percorso artistico di Hassan Sharif (Bandar Lengeh, 1951 – Dubai, 2016), uno dei più significativi rappresentanti della scena artistica mediorientale degli ultimi decenni.
Contestualmente Franco Noero ha annunciato la rappresentanza per l’Europa delle opere dell’artista nato in Iran, ma vissuto negli Emirati Arabi Uniti (Paese che ha rappresentato in due occasioni alla Biennale di Venezia nel 2009 e 2017) dove è prematuramente scomparso all’età di 65 anni.
Chi era Hassan Sharif
L’esposizione torinese è una selezione ragionata dei vari momenti della sua produzione, in particolare con diverse opere risalenti agli Anni Ottanta che contribuirono a scuotere lo scenario dell’arte contemporanea nella regione del Golfo, allora caratterizzato da un calligrafismo di maniera. Sharif si era formato a Londra a contatto con il costruttivismo britannico, con il minimalismo e con esponenti del movimento Fluxus. Negli Anni Settanta comincia la sua carriera pubblicando caricature per un giornale di Dubai: è un modo per affrontare in modo critico la modernizzazione forzata del suo Paese a seguito della scoperta del petrolio e del veloce accumularsi di immense ricchezze che cominciano a trasformare Dubai da modesto agglomerato a metropoli del lusso e del consumismo.
L’arte di Hassan Sharif
Sono proprio questi i temi – l’accumulazione, la serialità, la massificazione, il riuso di oggetti e scarti delle pratiche commerciali – che caratterizzeranno la sua arte nel corso di circa quattro decenni, attraverso disegni, dipinti, installazioni, performance, assemblaggi monumentali, découpage, tressage. Una pratica non disgiunta dall’attività organizzativa, critica e di insegnante che dà conto di una personalità in grado di modernizzare lo scenario mediorientale e di attirare l’interesse di alcune delle principali istituzioni culturali del mondo occidentale. Sue opere sono presenti nelle collezioni del Guggenheim New York, Guggenheim Abu Dhabi, Centre Pompidou, Mathaf Arab Museum of Modern Art, Tate Modern e Sharjah Art Foundation. Proprio a quest’ultima istituzione si deve l’ideazione della prima grande personale itinerante europea che ha toccato, all’inizio di questo decennio, il Kunst Werke Institute for Contemporary Art di Berlino, la Malmö Konsthall e il Museo di arte moderna e contemporanea di Saint-Étienne Métropole.
La mostra di Hassan Sharif a Torino
Ora, per merito di Franco Nero, arriva in Italia la prima personale dell’artista iraniano-emiratino. “È un orgoglio poter presentare l’artista più rappresentativo dell’area mediorientale negli ultimi decenni con alcune delle sue opere più interessanti che illustrano bene il suo metodo di lavoro derivante spesso dalla raccolta di materiali poveri e di scarto sui mercati degli Emirati” racconta il gallerista.
Di grande impatto sulla parete bianca Copper, un intreccio di fili di rame – materiale emblematico della rapida industrializzazione e modernizzazione del suo Paese –, una sorta di apoteosi di materiale riciclato che nelle mani dell’artista – piegato, tagliato, intrecciato – assume una nuova valenza estetica. Solo una delle sue riflessioni sul consumismo, al pari di Rug, opera esposta sulla parete opposta, che assembla stoffe provenienti da imballaggi commerciali.
Le opere di Hassan Sharif da Franco Noero
C’è poi il riuso di coloratissimi tappi di bottiglie di plastica, di pezzi di cartone tenuti assieme da corde, come in Cardboard and coir. Oggetti e materiali della moderna vita quotidiana che vengono intrecciati fra di loro in modo straniante, ossessivo, disturbante per sottolineare un eccesso di presenza. Ripetitività e meticolosità che, anche quando vorrebbero raggiungere la perfezione, sono comunque soggetti all’errore. Come nella serie dei Semy-Systems che testimoniano la curiosità dell’artista verso il mondo matematico e la possibilità che la devianza dalla regola può, in qualche modo, generare arte.
Dario Bragaglia
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