Intervista al grande artista Wolfgang Laib che porta un’opera a Villa Panza a Varese
La prestigiosa collezione fondata nel varesino da Giuseppe Panza di Biumo si arricchisce di un nuovo tassello, che invita alla riflessione e all'apprezzamento del silenzio e della natura
È una profumata casa di cera d’api circondata da geometrie di cumuli di riso, l’opera del grande artista tedesco WolfgangLaib (Metzingen, 1950) che entra nella collezione di Villa Panza, a Varese. L’installazione, acquisita dal bene FAI al termine della grande mostra Passageway, andrà a occupare quasi tutto lo spazio della Seconda Rimessa delle Carrozze. Untitled, questo il nome dell’opera dalle forme sintetiche ed essenziali, attinge a motivi archetipici delle architetture mesopotamiche e alla filosofia orientale in una simbolica anabasi rappacificante. Una costante nella filosofia di Laib.
Un’opera di Wolfgang Laib a Villa Panza
Questa solida “ziggurat” in cera non è che una delle quattro grandi installazioni studiate dall’artista per la mostra curata da Anna Bernardini, aperta a fine 2023 nell’ambito delle celebrazioni per il centenario di Giuseppe Panza di Biumo – con cui Laib era in rapporto di stima e amicizia – all’interno del programma espositivo della sede. L’artista tedesco ha interpretato e chiuso, con la sua mostra, il ciclo dedicato a “natura e forma”, declinando il tema con un afflato di spiritualità e misticismo che sembra esistere al di fuori del tempo, dello spazio e del suono: “Il silenzio è da sempre uno dei bisogni esistenziali più grandi per un essere umano desideroso e capace di meditare sul nostro ruolo nel mondo e sul significato del nostro passaggio su questa terra”, ha sottolineato il presidente del FAI Marco Magnifico, che ha personalmente voluto che un’opera di Laib entrasse nella collezione.
L’intervista all’artista Wolfgang Laib
Lei ha conosciuto Panza di Biumo: è stata stima a prima vista?
Abbiamo avuto un rapporto davvero intenso. Ci siamo conosciuti in occasione della seconda mostra nella mia vita, da Salvatore Ala a Milano, nel 1978, dove avevo portato la Milkstone e un’opera con del polline, la prima mai esposta. E lì non successe molto: io ero molto giovane ed ero un artista tedesco, lui era più interessato all’America. Poi ci siamo incontrati di nuovo a Venezia, quando io ho avuto il Padiglione Tedesco alla Biennale, e ho fatto molte mostre in Italia. Ora sono finalmente qui, anche se lui non è più con noi: è molto bello che uno di questi lavori resti nella collezione, anche se, certo, ci sono voluti 45 anni…
Ha detto che la cera d’api, che lei usa in Untitled, è “un materiale molto spirituale”, e la spiritualità è d’altronde al centro di tutta la sua produzione.
È tutta la mia vita. Questo è quello che mi sta a cuore, è tutto il mio mondo. Prima di diventare un artista ho studiato medicina, ma non volevo diventare medico. Ho pensato che ciò che volevo fare come medico, l’avrei fatto come artista. La gente spesso si chiede come si possa passare dallo studio della medicina a diventare un artista, ma non c’è stato nessun “passaggio”: non ho mai cambiato professione.
C’è una forte dimensione sensoriale nelle sue opere: è qualcosa che persegue, o che avviene da sé?
Non è qualcosa che ricerco apposta, ma d’altronde non potrebbe mai piacermi realizzare solo quadri. Mia moglie dice sempre che non sono interessato ai dipinti, e devo dire che se l’arte riguardasse solo colori e tele, allora avrei sbagliato professione. L’arte può riguardare moltissime cose, come l’odore della cera d’api o quello del polline. Non sarei mai andato in una università per cercare di imparare a “fare un dipinto”, sarebbe stato per me troppo limitato, sento che…voglio tutto.
Oriente, occidente, presente e passato, materia e spirito: la sintesi di elementi apparentemente contrastanti è al centro della sua pratica. È necessario uno studio costante?
Sicuramente è un processo aperto, e questo vale in generale per la vita di tutti. Quando studiavo medicina, sentivo che era un sapere troppo ristretto: sono sempre stato molto interessato a ciò che riguarda la vita e l’esistenza. C’è il latte, il polline, il riso, la cera d’api, ma non si tratta solo di elementi o materiali naturali, ma è molto, molto di più. È esistenzialismo.
Un posto molto importante, nella sua opera, lo occupano la natura e i suoi input. Un elemento di sempre maggiore urgenza.
Oggi sono venuto in Italia dalla Germania e ho visto tutte queste costruzioni in corso, ovunque. È assurdo: non siamo mai stati così lontani dalle cose davvero importanti. Questo è un mondo materiale, che come mai prima d’ora distrugge l’intero pianeta. D’altra parte, qui a Varese ci sono questi bellissimi parchi e giardini, siamo proprio di fronte alle montagne.
C’è tanta ritualità, tempo, silenzio, nel suo lavoro: raccoglie tutto e allestisce personalmente ogni opera?
Beh, ho molto tempo! Quando raccolgo il polline, che sia dal dente di leone, o dal pino o da diversi fiori, lo faccio per giorni e giorni, o settimane e settimane. Magari raccolgo per quattro settimane, e poi mi ritrovo con un mucchietto molto piccolo. Tutti hanno un’idea totalmente diversa della vita, di cosa bisogna fare in un giorno o una settimana. E la nostra vita potrebbe essere molto diversa da come la vive la maggior parte delle persone, ma poi ci si ritrova in una situazione in cui ciò non è possibile. Io penso ancora che vivere diversamente sia possibile, e che sia necessario. L’arte, quella importante, è sempre stata una sfida alla cultura e alla situazione attuale.
Crede che questo altro mondo sia possibile?
Naturalmente, questa è la cosa più bella per me. Quando, da giovane, ho fatto il mio primo lavoro con il polline, ho sentito che questa era la cosa più importante al mondo, che l’avrebbe cambiato molto più di quanto non potesse fare un qualsiasi politico. Ero molto ingenuo, ma sentivo di doverlo mostrare il prima possibile a quante più persone in tutto il mondo, e l’ho fatto. E ho trovato moltissime persone che erano non solo affascinate, ma così profondamente toccate da questi lavori, che fossero a Tokyo o New York o in Germania o dovunque. E questo è molto bello. Alla fine, è come essere un dottore. L’arte può fare questo, ha un’energia e una forza, e io posso dare così tanto a così tante persone in tutto il mondo, molto più di quanto avrei potuto fare come medico in una piccola città qualunque.
Il suo lavoro è immediato, universale. Non c’è alcuno “studio” richiesto per capirlo.
Non ho mai capito questa distinzione, del tipo io sono un artista tedesco, o tu sei americano, questo o quello. Come dice lei, non c’e nulla da capire guardando un mio pollen piece: tutti sanno di cosa si tratta e hanno una sensazione diretta al riguardo, anche se provengono da contesti molto diversi.
Quali artisti, pensatori e filosofie hanno avuto un’influenza particolare sul suo lavoro?
Sin dalla mia infanzia mi piace Laozi. Sono stato molto influenzato dal suo pensiero. Nella mia giovinezza sono venuto a vivere in India con i miei genitori, che erano molto interessati all’arte e alla cultura indiane, quindi ho un rapporto molto stretto con l’India, da molto tempo, dove abbiamo poi costruito una casa e uno studio, e viviamo lì parte dell’anno. Ho studiato anche il sanscrito, mentre studiavo medicina. E poi, quando ero molto giovane, ero interessato a Rumi, il poeta. Mi chiedono se sono buddista. Io non sono buddista, sono un artista europeo, però sono stato molto influenzato da cose diverse. Stimoli importanti anche per il futuro: sono molto interessato a ciò che dà una visione per la nostra vita attuale e per una vita diversa. Questo è quello che posso fare, i buoni artisti lo hanno sempre fatto, anche 500 anni fa, Choto o Leonardo da Vinci hanno fatto qualcosa di diverso rispetto a ciò che c’era. Molti artisti, oggi, dicono che tutto questo è molto naive, e che bisogna mostrare ciò che c’è, ma sono tutte cose che abbiamo già. Penso che l’arte importante abbia sempre mostrato all’umanità quel “qualcos’altro”, ed è il motivo per cui sono diventato un artista.
Giulia Giaume
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