Ponteggi per costruire. Un Padiglione Italia fatto di musica e di architettura
Il progetto di Bartolini è una scultura, è struttura, è armonia. È il ponteggio che si fa organo ed emette il suono. La recensione di Laura Cherubini sul Padiglione Italia alla Biennale di Venezia
Con due arti, e in due modi, il corpo si avvolge di leggi e interiori volontà,
raffigurate in una materia o in un’altra: la pietra o l’aria
Paul Valéry, Eupalino
La pietra o l’aria, cioè l’Architettura e la Musica. Sono queste le protagoniste dell’opera di Massimo Bartolini e in particolare di questo Padiglione Italiano (di cui è commissario Angelo Piero Cappello, curatore Luca Cerizza e dove l’artista collabora con i musicisti Caterina Barbieri, Gavin Bryars e Kali Malone).
In questo lavoro per la Biennale di Venezia non c’è predominio del visivo, tutt’altro.
La vibrazione sonora è sparsa nello spazio e contribuisce a destrutturarlo. Possiamo camminare e sentire nota per nota. A seconda della posizione possiamo percepire tutta la struttura vibrante. È una scultura, è un’architettura, è musica. È il ponteggio che si fa organo ed emette il suono.Perché i ponteggi? Perché i ponteggi sono alla base del costruire, ma anche del decostruire, sono effimeri, destrutturanti, offrono montaggio e smontaggio. Ma hanno un’altra specificità, sono cavi, conduttori di suono.Così entriamo in un mondo altro. L’enorme spazio del padiglione è leggero nella formalizzazione, ma profondo nel pensiero, minimale ma poetico. Di “edifici che cantano” parla Valéry.
L’opera di Bartolini alla Biennale di Venezia
Ma prima di andare verso la natura, sempre fondamento dell’opera di Bartolini, possiamo sostare intorno a Conveyance, la vasca all’interno della quale l’artista lascia che si formi un’onda. È lì che la musica ricompone la sua dualità. Lì si può ascoltare l’antifona, la melodia a due voci che si distinguono invece negli altri punti di ascolto.
È il nucleo pulsante, il cuore di questa fluida architettura fatta di suono. Anche i suoni musicali si propagano attraverso onde.
“Non puoi piegare un’onda/chiuderla in un cassetto” (Emily Dickinson). A ribadire il legame tra l’acqua e la musica Bartolini nel 2004 ha realizzato una fontana intitolata Flautino.
Siamo, ci muoviamo, viviamo in un’opera. Essere nell’opera come pesci nell’onda, così dice Valéry. Questo dono possono farcelo solo Architettura e Musica.
Al centro di ogni giardino, dal “giardino all’italiana” al pairidaeza persiano (che significa sia paradiso che giardino), c’è sempre l’acqua, che nella fontana, si fa materiale della scultura. È fluida, è trasparente, è vita. Percorrendo il labirinto di tubi Innocenti arriviamo a un luogo di sosta, di pausa, dove possiamo percepire la musica nel suo insieme.
Dal 1995 nelle opere denominate Aiuole sono le persone a fare il giardino. Dal 1996 si susseguono le riflessioni dell’artista sulle differenti tipologie di giardino. Ma già nel 1990 nel video Il frutto una ballerina danzava sospesa tra i rami di un albero.
Poi passiamo in un vero giardino, dove la musica è diffusa dagli alberi. Lì possiamo incontrare la performance di persone in stazione eretta, in palese analogia con gli alberi. “Le radici affondate nel suolo” così Marguerite Yourcenar descrive l’albero “il capo in pieno cielo”. In alcune opere di Bartolini le persone stesse si fanno radici e affondano nel terreno, sono piantate nel campo. Bartolini aveva anche creato un concerto per albero (Ballad, 2002).
Il Padiglione Italia alla Biennale di Pedrosa
Il titolo del lavoro parte da una omofonia: la similitudine del suono nella lingua inglese collega due concetti differenti. Two here/To hear cioè tradotto Due qui/Ascoltare. Ma ancora, una parte del titolo è declinata in una lingua e una parte nell’altra in una contaminazione: Due qui/To hear. Facciamo attenzione a quel Due: numero in italiano, ma tassa, debito, qualcosa che è dovuto in inglese. Non siamo soli, siamo in due, anche in solitudine c’è l’altro con noi. Il titolo generale di questa edizione della Biennale, voluto da Adriano Pedrosa, è tratto da un’opera del duo artistico Claire FontaineStranieri ovunque. Si è sempre stranieri di qualcuno, dappertutto, si è stranieri anche di se stessi. Anche soli siamo due, ovunque.
Il padiglione può essere percorso nei due sensi. Una figura ci accoglie all’inizio o ci congeda, infine. “Il Bodhisattva è un uomo il quale, avendo raggiunto l’illuminazione, vi rinuncia volontariamente per indicare la via agli altri uomini Il Pensive Bodhisattva indica e conduce gli altri senza agire”, scrive Massimo Bartolini e mi ha molto incuriosito il paragone che fa con Bartleby lo scrivano, una figura a cui ho dedicato la mia attenzione. Il personaggio di Melville è riassunto dalla sua affermazione: “Preferirei di no”. In realtà la frase originale I would prefer not to sarebbe più esattamente tradotta con “Avrei preferenza per il no”. Una vaga preferenza. Neanche il no è assertivo. “Preferirei non farlo”. Che cosa? Qualunque cosa.
Laura Cherubini
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