Da Mondrian a Venezia. La mostra di Chiara Dynys a Ca’ Pesaro
Trent’anni di lavoro, di mostre, di poetica nella personale dedicata all’artista milanese. Tra luce, materia e astrazione e un richiamo al neoplasticismo di Mondrian
Una mostra di grande potenza visiva, apparentemente provocatoria ma in realtà rivelatrice della centralità nell’arte della forma del linguaggio.
In ossequio a una poetica che ha sempre rifiutato qualsiasi definizione stilistica, Chiara Dynys (Mantova, 1958) reinterpreta a Ca’ Pesaro a Venezia la sintesi linguistica del Neoplasticismo fondato da Piet Mondrian (il movimento De Stijl), attraverso una serie di ambienti immersivi, in cui luce e materia ridisegnano il racconto del reale.
La mostra è completamente dedicata a nuove installazioni che attraversano la pratica dell’artista e presentano una serie di riflessioni capaci di svelare un nuovo capitolo all’interno di una poetica che da trent’anni si stratifica in un percorso ininterrotto di trasformazioni linguistiche.
La mostra di Chiara Dynys a Venezia
Nello sviluppo di questo viaggio Chiara Dynys spiega come “La luce e la riflessione sulla materia mi aiutano a superare l’idea di stile. Io non voglio che il mio linguaggio si inscriva in una forma stilistica: il mio lavoro ha una sua consequenzialità e ossessività nel suo significato. Mi piace usare materiali sempre diversi in modo tale che non siano questi a determinare la riconoscibilità della mia ricerca. Vorrei che ogni volta nelle mie opere il significato fosse così riconoscibile da definire l’appartenenza al mio linguaggio; per questo faccio film, uso proiezioni e diversi sistemi luminosi come LED, neon o luce laser o materiali sensibili alla luce come il vetro o gli specchi. In questo modo affermo concetti per me fondamentali come l’attraversamento di una soglia materiale o immateriale, tra visione e non visione ma sfuggo all’idea di stile”. La mostra a cura di Chiara Squarcina, Alessandro Castiglioni, Elisabetta Barisoni pone infatti al centro questa elusività attraverso “lo stile” per eccellenza, quello del Neoplasticismo di Mondrian. Dice ancora l’artista “più che un omaggio a Piet Mondrian, la mostra è la mia affermazione che la forma del linguaggio, anche quando lo stile è rinnegato, come nel mio lavoro, è centrale”. A Dynys interessa dunque un progetto di carattere concettuale. “L’astratto non si realizza esclusivamente con la stilizzazione: non si manifesta solo per mezzo della semplificazione e della depurazione. L’astratto rimane infatti l’espressione plastica in funzione dell’universale: esso è l’interiorizzazione più approfondita dell’esteriorità e l’esteriorizzazione più pura dell’interiorità”.
Mondrian nell’opera di Chiara Dynys
Dice l’artista: “il riferimento a Mondrian vuole rendere esplicita la mia affermazione che la forma del linguaggio, anche quando lo stile è rinnegato, come nel mio lavoro, è centrale. L’installazione che dà il titolo alla mostra è infatti un’opera ambigua, che intenzionalmente riprende le composizioni dell’artista teosofo ma allo stesso tempo le rinnega, perché è realizzata in pietra e metallo, cioè in materie presenti e resistenti, quel che Mondrian rifuggiva più di ogni cosa”. “Contrapposti a questa, un gruppo di libri colorati di metacrilato della serie “Tutto”, fornisce ulteriori spunti sulla mia particolare e contraddittoria idea di stile, mentre la seconda grande sala è interamente occupata dall’installazione “Gate of Heaven”, dove lo scheletro luminoso di una grande porta sembra derivare dalle curve, altrettanto luminose, che si diffondono sul pavimento secondo l’andamento delle onde gravitazionali dell’universo”. Così, la visione ravvicinata nel tempo e nello spazio di questi tre lavori, parla di uno “stile” che può tranquillamente rinnegarsi, ma per rinnovarsi: tutto diventa “stile”, se il linguaggio disparato con cui lo si esprime riesce a diventare forma.
Paolo Bompani
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