A Milano il Rinascimento di Paolo Uccello secondo Domenico Ruccia
Cavalli e cavalieri, draghi feroci e santi che hanno il coraggio di sfidarli. Questi sono i protagonisti leggendari che l’artista promette di raccontare. Una favola contemporanea ma dal finale inquietante
Una camera picta contemporanea. Un tuffo in un mondo rinascimentale, che richiama le glorie dei committenti aristocratici fiorentini o mantovani, pur mantenendo qualche legame col presente. È ciò che si scopre nella project room SOTTO della galleria Renata Fabbri di Milano, che ospita il corpus di opere inedite di Domenico Ruccia (Bari, 1986).
Come accade ogni volta che si rispolvera il Rinascimento, si comincia col fantasticare su quali siano gli autori specifici che l’artista in oggetto vuole riprendere. Qui, però, è il titolo a battere la strada, indirizzando il pensiero in modo netto e definito. Quel pazzo di Paolo Uccello – è all’artista quattrocentesco di Pratovecchio che si deve guardare per apprezzare tutte le influenze e le citazioni implicite di quanto si sta per osservare.
Paolo Uccello secondo Domenico Ruccia
La prospettiva geometrica di Paolo Uccello
Se dunque è utile ripassare un po’ di storia dell’arte antica, lo si dovrebbe fare sposando il punto di vista dell’artista. Domenico Ruccia – la cui metodologia di lavoro parte sempre da qualche riferimento esterno, artistico o di vita quotidiana che sia – vede e interpreta Paolo Uccello a modo suo. Lo vede come “un pazzo”, o piuttosto “un genio”, per la quantità di intuizioni e innovazioni che seppe anticipare nella sua epoca. Si parla infatti di un maestro di primo Quattrocento, celebre per aver cominciato ad allontanarsi dalle suggestioni innaturali del Gotico – dalle distese a-temporali dei fondi oro, dalle folle fiabesche e leggendarie – propendendo per una maggiore naturalezza. Naturalezza che si ritrova nei suoi accenni sperimentali alla prospettiva centrale geometrica. Tentativi coraggiosi (anche se non perfettamente riusciti) di dare profondità alle scene, giocando con le dimensioni delle figure per creare scenografie fantastiche.
Le opere di Paolo Uccello riprese da Domenico Ruccia
Malgrado il suo innovativo interesse prospettico, Paolo Uccello rimane un artista con un piede saldo nel Tardogotico ancora prevalente nel suo tempo. Come si coglie nelle due sue opere a cui Ruccia si rifà nello specifico – San Giorgio e il drago e la Battaglia di San Romano – c’è ancora molto di favola e di leggenda cavalleresca. La prima tela, immagine clou della storia di san Giorgio nell’atto di ferire il drago, è di soggetto immaginario per eccellenza. La seconda invece è un fatto storico: un passo in avanti verso la realtà che verrà conquistata in pieno Rinascimento.
La mostra di Domenico Ruccia da Renata Fabbri a Milano
E dal Rinascimento si arriva alla contemporaneità della mostra curata da Lorenzo Madaro per la galleria Renata Fabbri. Come già anticipato, pare una camera picta paragonabile alla Camera degli Sposi di Mantegna. Una serie di dipinti a olio dalla palette fredda, azzurrata, che paiono diffondere nella sala una nebbia umida, quasi tangibile.
Ciascuna scena è ambientata in un paesaggio campestre – una brughiera – fantastico solo in apparenza. Come commenta il curatore, non c’è nulla di surreale nel lavoro di Ruccia. Tutto l’antico che rispolvera è vicino a noi, pur con delle presenze fiabesche e cavalleresche. È vicino all’umano, in quanto familiare al patrimonio di conoscenze che sta alla base della cultura occidentale. Ciò che si ritrova di Paolo Uccello in questi dipinti è parte integrante della storia dell’arte riconosciuta. Quanti draghi si ritrovano sfogliando un qualsiasi libro medievale? Quante immagini di cavalieri armati in modo stravagante?
Le opere di Domenico Ruccia da Renata Fabbri a Milano
Tra fiumi e colline, si avvicendano cervi a passeggio, maiali nell’atto di accoppiarsi, cavalli accomodati nell’erba. Il tutto disseminato di alberi più o meno solitari, cespugli, e rupi scoscese. E, poi, i protagonisti leggendari: draghi e cavalieri, resi con una pennellata naïf, che vagamente ricorda certe grafiche di videogiochi. San Giorgio e il drago ritorna più o meno fedele nelle varianti del corpus, arricchito da elementi nuovi, che aggiungono storie alla storia principale. Ci sono persino gli scheletri – una citazione al tema della Morte, popolare nelle leggende medievali – che si delineano confusi nella foschia della brughiera. Così la narrazione si conclude, lasciando un fondo di inquietudine che allontana dal Quattrocento umanistico, fino a tornare con i piedi nella galleria.
Emma Sedini
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