Queerperspectives: la storia di Elyla tra tradizioni, parole e azione performativa
Per descrivere la pratica del giovane artista nicaraguense, tra i protagonisti dell’attuale 60esima Biennale d’Arte di Venezia, abbiamo deciso di affidargli questo spazio d’espressione nell’ambito della rubrica Queerperspectives a cura di Elisabetta Roncati. La storia dell’artista Elyla
Fredman Barahona, in arte Elyla, ripercorre le sue origini, illustrandoci poetica e pratica artistica in connessione alla storia della nazione che gli ha dato i natali. Sottolinea, soprattutto, il difficile percorso di ricostruzione delle radici di un popolo che cerca di liberarsi dai fantasmi del colonialismo integrando, al contempo, le diverse sfumature e le cosiddette “minoranze” che lo compongono (Elisabetta Roncati).
Le origini di Elyla
Il mio nome è Elyla e vivo nel dipartimento di Chontales, Nicaragua, in America Centrale. Nasco nel 1989, al termine della guerra contro i Contras, sostenuti dagli Stati Uniti. Durante la mia crescita, ho convissuto con il fantasma della rivoluzione sandinista che gravava sulle mie spalle, allietato, al contempo, dal ricordo delle memorie felici di alcuni momenti trascorsi in famiglia, assieme al dolore di sentirsi in trappola in un corpo non conforme vivendo in un villaggio “machista”. Ho dunque fatto affidamento soprattutto sulla mia immaginazione per creare uno spazio più accogliente per far riposare il mio spirito. Non a caso, il mio lavoro creativo si basa su quella particolare capacità umana che ci permette di trasmutare la sofferenza vissuta in una pratica liberatoria.
Elyla: il corpo come trappola
Per illustrarvi questo assunto intendo partire dall’appellativo con cui mi auto-definisco: mi chiamo Elyla, un “cochonx chontalli barro-mestiza”. Spiegare tale definizione è cruciale anche per comprendere la mia arte. “El-y-la” significa “lui-e-lei” in spagnolo e indica la convinzione del genere come sovrastruttura dettata dalla società odierna che permea la vita di ciascuno di noi al di là della politica del sé o del binarismo di matrice coloniale. In Nicaragua “cochón” è, invece, un termine usato per riferirsi a sessualità dissidenti: ho deciso di utilizzarlo per supportare l’espressività epistemica radicata nelle culture mesoamericane.
Il nome Elyla
“Chontalli” deriva dal nome del mio luogo di nascita, Chontales, terra del popolo indigeno Chontal. È una parola di origine nahuatl, antica lingua della civiltà azteca, che può essere tradotta con “strano, forestiero, estraneo”. “Barro” significa fango e parla del nostro rapporto con la terra e la natura, auspicando un ritorno alle pratiche che le rendono omaggio. Infine “Mestizaje/mestizo” potrebbe essere tradotto in italiano con “meticcio”: una sorta di identità politica che rappresenta un sincretismo etno-culturale risultante da uno stupro coloniale. Questi aspetti sono intrecciati nel mio essere e plasmano le lenti attraverso le quali esploro l’arte.
Elyla: arte e attivismo
Spesso mi definiscono artista e attivista: a mio avviso tale distinzione non esiste. Noi che cerchiamo di far conoscere le istanze della comunità queer-trans-non binaria grazie ai nostri stessi corpi siamo già nati artisti e attivisti. Nella mia esperienza, essere un “attivista” ha significato denunciare le ferite, gli attacchi, l’oppressione sistemica e le strutture egemoniche di potere nell’Occidente globalizzato. L’arte mi ha poi aiutato a dare forma e canalizzare il peso di tutto ciò attraverso diversi mezzi espressivi.
Da questo punto di vista posso quindi definirmi un artivista.
La mia pratica artistica si muove tra performance, installazioni, performance fotografiche, teatro sperimentale, scultura performativa e interventi artistici site-specific. Mi impegno ad indagare come le riflessioni decoloniali possano portare a una prassi anticoloniale tarata sulle comunità dell’America Centrale, rimanendo al contempo in dialogo critico con le reti di solidarietà internazionale. Infatti, all’interno della mia poetica, esploro spesso le tracce coloniali di danze, rituali e carnevali. La maggior parte dei progetti nasce dal riesame di tradizioni popolari. Attualmente sto sviluppando una ricerca che studia il combattimento di galli in Nicaragua e Indonesia assieme ad un incredibile artista di danza tradizionale giavanese chiamato Otniel Tasman.
Elyla alla Biennale di Venezia
Invece, alla Biennale Arte, presento l’opera di video arte intitolata Torita-encuetada: è la riproposizione di una cerimonia anticoloniale che esplora la liberazione dal giogo degli occupanti attraverso un rituale del fuoco radicato in una pratica culturale nicaraguense chiamata Toro-encuetado. Ho scelto di dedicare la performance, realizzata in collaborazione con il regista Milton Guillen e con la musica di Susy Shock e Luigi Bridges, a Gustavo Herrera e al suo compagno Cristian Ruiz, leader culturali indigeni Mangue-Chorotega e custodi della conoscenza ancestrale. Gustavo e Cristian, ucciso nel 2022 a causa di un crimine d’odio e transfobia, sono stati con me per oltre un decennio. Posso definirli amici, guide, insegnanti e colleghi. Mi impegno costantemente a creare arte che sia anche una pratica di giustizia sociale e un promemoria della nostra capacità di sognare altri mondi e portare bellezza nella collettività, che ristabilisca gli equilibri e ci ricordi che nessuno sarà mai libero finché non lo saremo tutti.
Elyla
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