Nella mostra di Federico Tosi a Milano i bonsai si ribellano
Bonsai… ma non solo. In questa mostra alla galleria Monica De Cardenas tutti i soggetti delle opere si ribellano: le piante rompono i vasi, i cani scappano dal guinzaglio, e le dita si staccano dalle mani
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Tutto comincia da una residenza d’artista nelle Filippine di non molto tempo fa. Un periodo trascorso sulle isole nei pressi di Manila, a contatto con la natura più selvaggia e indomabile. Liane, fronde e piante tropicali di ogni genere e forma: i simboli di quel mondo vegetale che ancora domina sull’addomesticamento umano, anche se con sempre maggiore difficoltà. È da lì che Federico Tosi (Milano, 1988) ha avuto l’idea iniziale, oggi concretizzata nella mostra milanese da Monica De Cardenas. La terza dell’artista con la Galleria, che già lo aveva ospitato a Milano nel 2018. Le premesse sono di un progetto che parla di sovversione, di regole e confini troppo stretti, che non riescono però a fermare l’indole e le forze della natura.
Ribellione e libertà nella mostra di Federico Tosi a Milano
In tutti i lavori protagonisti della mostra, risuona un desiderio di libertà: di ricerca disperata di una libertà, che, però, non sembra portare molto lontano. Nella mente dell’artista, c’è infatti una voglia di rompere i ranghi della società, dell’ordine imposto sul mondo dalla civilizzazione e dall’urbanizzazione. Sembra che piante, animali, e persino uomini, risveglino la propria radice istintiva, ormai da anni latente e addomesticata. Ogni essere si scuote, e cerca di uscire dal proprio recinto – un vaso per i bonsai, il guinzaglio per i cani, e il corpo umano per le dita – in vista di una boccata d’aria e libertà.
Tuttavia, una volta raggiunto l’obiettivo, non si capisce il vero esito di fondo: soddisfazione o delusione?
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Le opere in mostra da Monica de Cardenas a Milano
I bonsai di Federico Tosi
I primi ribelli in cerca di libertà sono senza dubbio i bonsai, a cui si deve il titolo della mostra. Tra tutte le varietà vegetali, sono sicuramente le più addomesticate e costrette a un’esistenza rigidamente vincolata. Il loro spirito originale è ridimensionato a forza, pur di imprigionarlo in un corpo in miniatura.
I bonsai di Tosi, però, stravolgono le regole: rompono i loro vasetti di ceramica, e si sviluppano in improbabili fioriture esasperate. L’esito è a metà tra il valoroso e il pietoso: il melograno fa qualche frutto rinsecchito, la papaya tenta un accenno di fogliame, e la digitale – regina dei fiori velenosi e letali – ha un grappolo di boccioli in apparenza poco offensivi. I materiali utilizzati in queste sculture, ceramica e resine colorate, rendono benissimo il concetto.
I cani scappati dai padroni di Federico Tosi
Un altro capitolo espositivo sono gli acquerelli che immortalano cuccioli sfuggiti dalla mano dei rispettivi padroni. Sono la rappresentazione dell’indole canina addomesticata che – quando è scossa da un insetto o un uccellino – torna alle sue origini. E scappa. Dove? Il paesaggio suggerito dall’artista è una selva fitta fitta: una giungla tropicale, come quelle viste nelle Filippine. Ma c’è di più… si tratta di un’immagine di una giungla realizzata con l’intelligenza artificiale. E dunque frutto di un algoritmo a sua volta addomesticato. Con la trasposizione manuale ad acquerello, ecco che anche queste regole generative imposte si rompono. Un’ulteriore ribellione prende vita nelle opere in mostra.
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Le dita libere di Federico Tosi
Si arriva al corpus conclusivo: schiere di dita, poggiate in verticale su mensole più o meno estese. Ce n’è (letteralmente) per tutti i gusti e i colori: incarnati bianchi e neri, unghie naturali, smaltate, lunghe e corte. È un arcobaleno che libera da ogni distinzione di genere o di razza. Qui, ci ribella alle categorie, ma anche allo stesso corpo umano e alla sua razionalità. Le dita – estrema propaggine delle mani – sono ciò che più del nostro corpo abbiamo sotto controllo. Le comandiamo in continuazione: sono abituate a obbedire. Con queste opere, Federico Tosi vuole esprimere un ulteriore impeto di liberazione, continuando sulla linea che accompagna tutta la mostra.
Emma Sedini
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