Il Lucio Fontana visionario in una grande mostra al Musée Soulages in Francia
Il museo voluto a Rodez (Occitania) dal più famoso dei pittori contemporanei francesi ospita una grande raccolta di opere che tracciano quel “futuro” anticipato da Fontana. Che oggi non ci immaginiamo più
“Trent’anni fa sì che potevamo parlare di futuro, oggi non possiamo dire nemmeno quale sarà il futuro […] durante i miei quarant’anni di attività vedo che effettivamente un futuro c’era”. Così raccontava Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, 1968), al termine del suo lungo arco creativo, in un’intervista con Carla Lonzi. Era chiuso, per il grande artista italo-argentino, quel momento di radicale rinnovamento concettuale dell’arte che lui aveva vissuto e, insieme agli eroi dell’Arte Povera e Concettuale, incarnato. Una visione anticipatoria, pionieristica, che ora va in mostra, e fino a novembre 2024, al grande Musée Soulages, l’istituzione voluta dall’omonimo pittore francese (scomparso poco più di un anno fa) nella nativa Rodez, in Occitania.
Lucio Fontana in mostra a Rodez
Con l’aiuto di un grande e vario nucleo di opere – prestate soprattutto dal Centre Pompidou, ma anche dalla Fondazione Fontana, dalla galleria Tornabuoni, dalla GAM di Torino e dal Museo del Territorio di Biella, tra gli altri –, LUCIO FONTANA. Il y a bien eu un futur. Un futuro c’é stato esplora quasi 40 anni di attività artistica, dai primi Anni Trenta fino alla fine dei Sessanta. Dai primi disegni, pitture e ceramiche (favolose, scaturite dai soggiorni ad Albisola e Sévres), si arriva alla prima opera presentata in Biennale, la XVII: una tela bucata, che tra le perplessità del pubblico è introdotta come scultura. Dall’Informale si progredisce verso lo Spazialismo, passando per una graduale spoliazione e sottrazione materica alla tela. Superando disegni di uova e annotazioni erotiche, i visitatori si ritroveranno quindi esattamente al di sotto della ricostruzione del celebre Neon presentato alla IX Triennale di Milano, che a differenza di quello esposto al Museo del Novecento è presentato a grandezza naturale, così come doveva apparire agli spettatori che, nel ’51, obiettarono: “Ma è uno spaghetto!”.
L’utopia di Lucio Fontana in mostra al Musée Soulages
Buchi su tela, buchi su metallo (eccoli, i grattacieli di New York), buchi su uova, e si arriva ai tagli. In questi Concetti Spaziali, Fontana manifesta sempre di più una “attenzione per lo spazio, per la scienza e per l’atomo, un’attenzione che corre parallela, e si fonde, a un forte interesse per la natura, la terra, la materia”, spiega il curatore e professore Paolo Campiglio. “Conosciamo lo spirito con cui realizzò queste opere anche grazie alle sue annotazioni sul retro delle tele, come quella che recita ‘Allunaggio morbido dei russi sulla Luna’, dietro a uno dei Concetti in mostra”. Quella di Fontana, e sempre di più con il passare degli anni, si configura come un’utopia: un regno dello spirito, dove vivono proiezioni fantastiche (tra cui il rifiuto della guerra), che permettono di guardare oltre il presente, oltre lo stesso pianeta – come per il poetico Ambiente Spaziale realizzato in un giorno per la Galleria del Deposito di Genova nel ’67, con tanto di documentazione fotografica di Lisetta Carmi – e verso uno spazio che è anche origine. E ricorda tanto le (coeve) Cosmicomiche di Calvino.
Pierre Soulages e la sua Rodez
Questa grande mostra su Fontana – la prima, in Francia, di tali dimensioni negli ultimi dieci anni – si ascrive nel solco delle esposizioni temporanee di respiro internazionale proposte dal Musée Soulages, il grande museo voluto dall’omonimo pittore nella sua città nativa, nel cuore della campagna francese. Figura di spicco dell’arte astratta, venuto a mancare dopo una lunghissima e apprezzatissima carriera artistica, Pierre Soulages è forse l’artista contemporaneo francese più rinomato al mondo (insieme a Dubuffet, dicono dal museo). Nonostante l’afflato sperimentale, Soulages è divenuto celebre soprattutto per il suo frequente utilizzo del nero tra serigrafie, litografie, acqueforti e pittura. Un nero che si fa, a sorpresa, luminosissimo: dimenticate l’ultra assorbimento di Anish Kapoor – a cui il direttore del museo e artista Benoît Decron ha ricordato qualche anno fa che “il nero appartiene a tutti” –: questo è un “outrenoir”, un “oltrenero” che cattura la luce e catalizza, come un talismano, tutto il sapere di Soulages. Dalle spinte espressioniste e destrutturaliste all’arte della calligrafia giapponese, dall’arte preistorica a quella romanica. Senza disdegnare tecniche e strumenti in prestito dall’artigianato, come insegnatogli dal padre, tra olio di noce e cazzuole.
Il Musée Soulages a Rodez
Quando l’artista e la moglie Colette hanno donato, in più tranche, quasi 500 opere alla città, il Comune ha pensato bene di aprire un museo apposito. Dopo anni di programmi e bandi, nel 2014 ha così inaugurato il Musée Soulages, all’interno di un visionario edificio “a scatole” di stampo modernista, progettato dagli architetti catalani associati RCR (che ci hanno vinto il Pritzker Prize del 2017) e dallo studio di architettura Passelac & Roques. Posto sul lato nord del giardino Foirail, a sua volta completamente sistemato e frequentato, il museo funge anche da collegamento tra il centro storico e i nuovi quartieri della città, ed è un punto di riferimento nazionale con oltre un milione e mezzo di visitatori all’anno (e celebrazioni in vista per i primi dieci anni). Realizzato gomito a gomito con l’artista e ispirato, per illuminazione e flessibilità, all’Ala Scarpa della Gypsotheca di Possagno, il museo è la casa perfetta per le opere di Soulages, con i suoi nerissimi interni di metallo suddivisi in ambienti comunicanti, dai quali si può sempre intravvedere la successiva stanza e relativa fase creativa dell’artista. Il tutto culmina in una grande sala – qui l’illuminazione è a giorno, e su fondo bianco –, che espone i bozzetti delle vetrate realizzate da Soulages per l’abbazia di Conques, così come sono disposti nella chiesa. Una cosa incredibile.
Giulia Giaume
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