Nella mostra di Xu-Bing a Roma la Cina incontra l’Impero Romano
Divisione e congiunzione, confini e strade, la Grande Muraglia Cinese e la Via Appia. Da questo parte la mostra dell’artista concettuale pechinese Xu-Bing all’American Academy, in un sapiente sincretismo culturale
Mitezza nel privato per esprimere originalità e dirompenza nel lavoro: artisti come Xu-Bing (Pechino, 1955) sembrano aderire più di altri al motto di Flaubert. La sua mostra presso l’Accademia Americana a Roma, intitolata A Moment in Time, è un lavoro imponente, che lega e giustappone tradizione, creatività e trasmissione di cultura. L’esibizione mette a confronto la Grande Muraglia Cinese e la Via Appia, peraltro appena candidata ad entrare nel patrimonio UNESCO, attraverso la tecnica del rubbing, una forma di duplicazione risalente al secondo secolo avanti Cristo e recentemente modernizzata nell’interpretazione di Xu-Bing, uno dei più influenti artisti concettuali cinesi della sua generazione. L’installazione The Wall and The Road indaga similitudini e differenze tra due grandiose civiltà, quella dell’Impero Romano e della Dinastia Han, mostrando la valenza inesauribile di queste due culture e di come ogni grande opera d’ingegno dispieghi, nel tempo, una portata di significati che travalicano le intenzioni del proprio autore.
Intervista a Xu-Bing
Può dirci di più dell’idea cinese di “copia” e ripetizione, della sua relazione con il passato e di come differisca dal punto di vista occidentale? Per me replicare porta con sé un concetto persino romantico, quello di proteggere e preservare l’originale, che potrebbe essere alterato o addirittura perso. È così?
Personalmente sono molto interessato alla duplicazione; il motivo è la mia formazione nella stampa, la cui qualità più distintiva riguarda la copia e la riproduzione. I concetti di duplicazione e riproduzione sono molto importanti, perché aiutano a distinguere le caratteristiche delle società classiche antiche (non solo quella cinese) da quelle delle società contemporanee. I periodi classici si concentrano sull’individualità, mentre le società contemporanee sono più standardizzate.
In che modo?
Nelle società antiche, molte cose erano individualizzate; per esempio, se si era una persona alta con delle gambe lunghe, gli artigiani potevano realizzare appositamente una sedia più alta. Dopo la rivoluzione industriale, tutto è diventato standardizzato. Non importa quanto tu sia alto o basso, le sedie sono standard. Il concetto di duplicazione gioca ora un ruolo molto importante nella vita delle persone; i telefoni, ad esempio, sembrano tutti uguali o simili, e all’interno posseggono le stesse icone per comunicare; quest’idea di standardizzazione è quindi diventata inseparabile dalla vita contemporanea, ed è presente in discipline come la moda e la pubblicità.
Come si relaziona la cultura cinese alla standardizzazione?
Sono interessato alla duplicazione per la sua forte cultura nella tradizione cinese, è legata ai caratteri cinesi, a forma quadrata. La forma non cambia mai, indipendentemente dalla parola che usiamo mentre, in inglese, la forma delle parole cambia in base al prefisso e al suffisso. I cinesi continuano a copiare questi caratteri squadrati, dimostrano il loro rispetto e desiderio di avvicinarsi ai contesti classici replicando caratteri e testi specifici. È un po’ come fare ginnastica: i ginnasti possono creare un loro stile solo dopo aver fatto propri i movimenti classici di base.
La mostra di Xu-Bing all’American Academy di Roma
L’installazione The Wall and the Road contiene due concetti opposti ma, allo stesso tempo, complementari: quello di unire e di respingere. Può, per favore, dirci di più sulla sua scelta di rappresentarli insieme?
Desideravo l’opportunità di fare il rubbing della via Appia da tanti anni, sono molto contento di avere avuto l’occasione di realizzare questo progetto.
In questa mostra, mi interessava la relazione tra il muro e la strada, le loro connessioni. Ho fatto una piccola ricerca, pare che in latino le parole “muro” e “strada” abbiano la stessa radice, collegata all’idea di fortificare qualcosa. L’opera combina due calchi di siti diversi (uno della Grande Muraglia Cinese, uno della Via Appia) al fine di esplorare i legami tra queste due civiltà e i loro aspetti positivi e negativi. Ad esempio, nella cultura cinese sussiste l’aspetto dell’inclusione, che permette a molte culture e tradizioni diverse di coesistere. Ma è un concetto a doppio filo, pur essendo piuttosto inclusiva, la cultura cinese rimane anche relativamente conservatrice. L’antico Impero Romano ammirava la conquista, durante cui diffondeva anche la propria cultura. E nel processo di conquistare un’altra cultura, o addirittura di eliminarla, diversificava e allo stesso tempo arricchiva anche la propria.
In Book from the Sky lei ha creato dal nulla un nuovo linguaggio che, a prima vista, sembra cinese, ma che, di fatto, è interamente inventato. Trovo ironico che, dopo aver sperimento la propaganda e la relativa modalità di comunicazione semplicistica e strumentale, abbia ideato un lavoro di questo tipo. C’era quest’intento? È stata una forma di ribellione, la sua?
La Cina è influenzata dalla politica, ma, in realtà, ora è così in ogni parte nel mondo. L’arte contemporanea cinese riflette il contesto sociopolitico del proprio tempo; Book from the Sky era molto legato alla realtà sociale in Cina in quel periodo. Dopo la Rivoluzione Culturale, la porta della Cina si è aperta al mondo, c’è stata una “febbre della cultura” e io sono stato assorbito dal movimento. Esserne parte mi ha permesso di vedere la cultura da una nuova prospettiva. Durante questa “febbre della cultura” c’era sete di conoscenza, e quindi quando, improvvisamente, ne abbiamo avuto accesso, in parte ci è sembrato di star mangiando troppo, c’era una sensazione di disagio simile a un’improvvisa indigestione. Book from the Sky è nato da questa circostanza. È un libro che non dice nulla. Era una risposta a questo stato di eccesso.
E riguardo al linguaggio inventato che ha utilizzato?
Ha menzionato il cambiamento sistematico dei caratteri (all’epoca per semplificarli) da parte del governo cinese, ma non è stata la ragione iniziale che ha ispirato Book from the Sky. Tuttavia, quest’opera utilizza la rappresentazione testuale come veicolo di risposta. Parte delle motivazioni alla base deriva dalla mia esperienza durante la Rivoluzione Culturale e dall’essere cresciuto sul campus dell’Università di Pechino: ho vissuto un periodo in cui le parole avevano molto potere. Ad esempio, a quel tempo, c’erano giornali a grandi caratteri, striscioni e slogan ovunque negli spazi pubblici. Questo fenomeno mi ha fatto comprendere il potere delle parole, che possono davvero cambiare le cose o persino uccidere. Nel corso della storia, molti governanti hanno apportato modifiche alle parole o alla cultura correlata ad esse, perché riflettono e influenzano i modi di pensare delle persone. Sono strumenti per influenzare il modo in cui si comprendono ed elaborano le informazioni. Cambiare le parole significa cambiare gli aspetti più fondamentali del pensiero.
L’arte secondo Xu-Bing
Ha asserito che l’arte e ciò che essa trasmette possono cambiare a seconda del contesto: c’è stata una reazione significativamente inaspettata o diversa da parte del pubblico, una risposta che davvero non si attendeva?
L’arte interagisce sempre con i suoi destinatari, qualunque effetto ne derivi è un prodotto dell’interazione. Soprattutto nell’attuale era digitale, la riflessione al di fuori dei musei è diventata sempre più importante. In un certo senso, queste interazioni possono diventare il materiale, il metodo o parte degli effetti della creazione artistica. In passato, l’artista realizzava l’opera e lo spettatore la sperimentava passivamente, ma oggi gli spettatori hanno, in qualche modo, più scelta, possono usare i media per amplificare la loro risposta all’opera d’arte, che diventa parte dell’opera stessa. Una creazione può evocare risposte ed effetti molto diversi. Sono aspetti importanti dell’arte di oggi e di quella del futuro.
Sono riflessioni effettivamente molto attuali…
Il mondo sta diventando sempre più diversificato e interdisciplinare, e ognuno possiede i propri, peculiari retroterra culturali e le proprie prospettive per comprendere un’opera d’arte. Inoltre, i nuovi strumenti mediatici possono plasmare e influenzare l’interpretazione di un’opera e il suo impatto sulla società. Da un buon lavoro si possono estrarre più livelli di significato. Alcune persone interessate a un particolare argomento ricavano informazioni dalle parti dell’opera correlate al loro interesse, mentre altre persone possono ricevere informazioni da altri aspetti. Una buona opera d’arte è aperta all’interpretazione, non respinge nessuno. Ha questa capacità di raggiungere un vasto pubblico, e spero senz’altro che il mio lavoro possa farlo. In cinese c’è un modo di dire a che descrive qualcosa che può essere apprezzato sia dagli studiosi che dai laici. È uno stato dell’arte molto speciale. Alcune persone pensano che sia impossibile raggiungerlo, ma credo che una buona arte possa arrivarci, ed è ciò che mi interessa davvero come artista.
Può farci esempi di questo tipo di opere d’arte?
Un esempio potrebbe essere Phoenix, una delle mie opere; non ha potuto essere collocata nella sede originariamente designata, ora viaggia per il mondo e produce nuovi significati a seconda del luogo in cui si trova. Quando, ad esempio, è stata esposta alla Cattedrale di St. John the Divine a New York City, il vescovo si è mostrato particolarmente interessato: ha dichiarato che si adattava molto bene al contesto perché conferiva attenzione alle persone ai livelli più bassi della società, condividendo gli stessi valori della chiesa. Quando è stata esposta al Mass MoCA, le reazioni dei bambini mi hanno profondamente commosso. Un insegnante ha portato un gruppo di giovani studenti a vedere la mostra, e tra di loro c’era un ragazzo recentemente immigrato dalla Cina negli Stati Uniti. Non aveva mai pronunciato una parola in classe, né in cinese né in inglese. Quando ha visto Phoenix, l’ha indicata e ha detto ad alta voce in cinese, davanti a tutti: “Questo proviene da dove vengo anch’io”. Quest’opera porta con sé molto dell’atmosfera della Cina, mi ha commosso che sia stato percepito dai bambini.
Claudia Pellicano
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