A Roma apre un nuovo spazio espositivo interamente dedicato all’arte digitale
Si chiama Liminal Space e nasce da un'idea degli ex fondatori di NONE Collective. Dopo dieci anni il duo dà forma a un nuovo progetto restituendo il giusto valore alla new media art con mostre e programmi di talk e performance
Nato nel 2014 dall’incontro fra gli artisti romani Gregorio de Luca Comandini, Saverio Villirillo e Mauro Pace (quest’ultimo distaccatosi nel 2022), NONE Collective ha sviluppato progetti transmediali con l’obiettivo di indagare la società contemporanea attraverso l’arte digitale. Nei loro lavori, l’architettura si unisce alla tecnologia creando narrazioni che approfondiscono i confini tra identità, consapevolezze e percezioni, producendo esperienze immersive che oscillano tra l’artificiale e l’umano. Nel corso degli anni, il collettivo si è affermato con le opere Solarpunk in occasione dell’inaugurazione di gres art 671 a Bergamo nel 2023, Reality, ospitata alla Cavallerizza Reale di Torino in occasione dell’edizione 2022 di Paratissima, e Intoccabili, realizzata in piena pandemia nel 2021, e molte altre.
Il nuovo Liminal Space a Roma
A distanza di dieci anni, Gregorio de Luca Comandini e Saverio Villirillo hanno deciso di chiudere il progetto NONE per dare vita a Liminal Space, nuovo spazio espositivo interamente dedicato all’arte digitale all’interno del loro studio in via Libetta 21, nel quartiere di Ostiense a Roma. A inaugurare il nuovo spazio, il 21 giugno 2024, sarà una performance partecipativa con il pubblico, a cui seguirà una programmazione di eventi e mostre. Abbiamo fatto qualche domanda agli artisti.
Intervista a Saverio Villirillo e Gregorio de Luca Comandini, fondatori di Liminal Space a Roma
Da quanto tempo abitate gli spazi di Via Libetta?
Quest’anno sono esattamente dieci anni che siamo in Via Libetta 21. Questo è un anno di cambiamento, di mutazione, perché si è conclusa dopo dieci anni l’esperienza di NONE Collective e abbiamo iniziato un nuovo progetto come duo che si chiama Liminal State. Come è sempre successo nei nostri percorsi artistici (che nel corso degli anni hanno assunto diversi nomi e identità collettive), ciascun momento ha rappresentato una fase e una progettualità differente.
Come è nata l’idea di trasformare e aprire lo spazio al pubblico?
Adesso, chiudendosi l’esperienza di NONE, abbiamo scelto di trasformare il nostro luogo di lavoro e di studio in uno spazio espositivo, riprendendo l’esperienza super positiva che abbiamo fatto durante la pandemia. Infatti, in quegli anni, abbiamo usato i nostri spazi per esporre dei lavori a gruppi di persone che si prenotavano su chat Telegram e WhatsApp. E sulla base di quell’esperienza presentatasi in un periodo difficile, abbiamo deciso di riproporla dedicando l’intero spazio all’esposizione e alla condivisione di opere transmediali e new media art.
Quali sono gli intenti di Liminal Space?
Abbiamo sentito la necessità di cercare una rete di relazioni all’interno della scena dell’arte digitale, dell’arte e della tecnologia. In realtà non c’è mai stata una vera e propria scena, forse sì ma negli anni Duemila, per poi perdersi a causa dell’individualismo e dalla competizione. Su Roma si è cercato a lungo una programmazione più dedicata tra festival e locali, ma senza risultato.Oggi sentiamo fortemente questa mancanza di riferimenti nell’ambito e, quindi, cerchiamo di dare il nostro contributo al territorio e alla città creando questo nodo all’interno della rete, sperando che faccia da catalizzatore.
Spiegateci meglio…
Liminal Space vuole essere spazio di sperimentazione che, oltre ai nostri lavori e alla nostra ricerca, intende attivare collaborazioni con altri artisti e un programma di attività dedicato.
Come sarà il palinsesto espositivo di Liminal Space?
Stiamo attingendo dalla nostra esperienza, quella di Simposio, camp/comunità di artisti e attivisti nata nel 2018 proprio in questi spazi e che poi è diventato un appuntamento annuale spostandosi sulle Dolomiti, nell’ex villaggio di Borca di Cadore. Vogliamo riprendere quella rete ma abbiamo intenzione anche di fare delle call aperte a chiunque voglia dare il proprio contributo.Tra l’altro oggi, rispetto al passato, ci sono anche nuove generazioni di artisti digitali che escono fuori dall’Accademia grazie ai nuovi corsi di specializzazione. Tante giovani leve di grande entusiasmo che, se vengono a conoscenza di spazi dedicati alla sperimentazione, sono molto attivi nel proporsi e nel collaborare. Il palinsesto consisterà in due mostre annuali, una in autunno e una in primavera, e un programma di appuntamenti mensili di Simposio con talk e performance live.
In cosa consisterà la “performance collettiva di iniziazione dello spazio”?
Quello che prenderà forma venerdì 21 giugno sarà un rito di iniziazione di Liminal Space, perché iniziamo i lavori di ristrutturazione del magazzino, abbattendo simbolicamente un muro (per cui prevediamo la demolizione) insieme ai partecipanti. Sarà un rito collettivo perché ognuno avrà modo di scrivere sul muro un messaggio o una parola che si vuole abbattere per poi contribuire alla demolizione, della parete e dei concetti. Per noi è molto importare il concetto di aprire un varco in una soglia. Lo stesso che andiamo a cercare nella nostra ricerca artistica, quello di condurre e produrre insieme un processo in cui attraverso l’iper stimolazione audio e video, lo stress della percezione umana e i nostri limiti fisici, si attivi una connessione con un mondoesclusivamente materiale e corporeo ma è anche immaginario.Un mondo che consente la prefigurazione di altre realtà e possibilità. Ed è proprio dal varco che si creerà da questo muro che partirà la nostra nuova ricerca.
L’arte transmediale di Liminal Space: tra spettacolarità e criticità contemporanee
La vostra idea di estetica transmediale che forma assumerà all’interno del nuovo spazio?
Quello che ci interessa è che l’arte immersiva, transmediale e digitale inizi a parlare del contemporaneo. Ad affrontare le criticità e le emergenze del reale, le questioni sociali e politiche, indagare il tema del potere e tutto ciò che ne consegue. O forse deve solo (come succede spesso) dare un effetto wow?
Sebbene le potenzialità di intrattenimento dell’arte digitale siano più alte rispetto ad altri linguaggi, la dimensione di spettacolo e divertimento rischia di soffocarla…
Quando sentiamo parlare di mostre immersive le associamo a blockbuster, fenomeni nazionalpopolari, in cui vanno le famiglie con bambini per immergersi in vasche di palline o fanno file per farsi le foto negli appositi set. Questo è quello che noi vorremmo andare a contraddire portando avanti una ricerca, un dibattito e un’estetica artistica attraverso i new media che parli del contemporaneo e che non sia solo intrattenimento o distrazione.
Valentina Muzi
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