“Sabotare la Biennale di Venezia”. All’accademia Naba di Milano va in scena il padiglione del dissenso
Parte dall’analisi storica degli avvenimenti accaduti negli anni 1968, 1974 e 1976 caratterizzati da forti contestazioni politiche e sociali all'interno della rassegna lagunare l’evento proposto dalle studentesse e gli studenti del biennio di arti visive e studi curatoriali
“Che ruolo svolge oggi la Biennale d’Arte di Venezia? È possibile una reale contestazione all’interno di questo sistema?”, si chiedono le studentesse e gli studenti del primo anno del biennio di arti visive e studi curatoriali della Naba di Milano, che giovedì 20 giugno 2024 hanno portato in scena – partendo dalle forti contestazioni politiche e sociali avvenute a Venezia nel 1968, 1974 e 1976 – il padiglione del dissenso dal titolo Sabotare la Biennale: istruzioni per l’uso. Lo scopo dell’iniziativa, coordinata dalla storica dell’arte e docente Elvira Vannini, è riflettere sulle contraddizioni presenti all’interno della rassegna e sulle possibili riletture di un sistema culturale eurocentrico in cui ancora l’Occidente immagina e rappresenta la propria storia e quella di altre società. L’esigenza diventa ancora più urgente dopo la recente presentazione della 60ma edizione curata da Adriano Pedrosa: “A chi si rivolge e come impatta il sistema dell’arte Foreigners Everywhere/Stranieri ovunque? Come può un’esposizione internazionale, ancora europea e modernista, definirsi decoloniale? A cosa serve aprire una biennale durante un genocidio in corso? E, infine, che ruolo in questo gli artisti?”.
Il padiglione del dissenso alla Naba di Milano: “Sabotare la Biennale: istruzioni per l’uso”
Performance, lectures e discussioni accompagnano Sabotare la Biennale: istruzioni per l’uso, che per l’occasione vede anche la presentazione di un vero e proprio padiglione (ideato, progettato e realizzato da Nicola Faini, Alessandra Martina, Daniela Noviello, Sidonie Pellegrino, Kamil Sanders e Claudia Spoto), ispirato dalle strutture realizzate per la Biennale d’Arte del 1974, la cui edizione fu interamente dedicata al Cile dopo il Golpe del settembre 1973: mostre di manifesti, spettacoli teatrali e concerti costituirono forse la più grande e risonante protesta culturale nei confronti del dittatore cileno Pinochet. Così, il padiglione del dissenso propone documenti sulle pratiche di rottura, libri – tra questi, La Biennale. Annuario 1975/Eventi del 1974, In fiamme: la performance nello spazio delle lotte (1967-1979), Anni Settanta. La Biennale di Venezia di Stefania Portinari, Vietato vietare. Controcultura in Italia 1968-1977 e Ma l’amor mio non muore. Origini, documenti, strategie della cultura alternativa e dell’underground in Italia – e oggetti di vario genere che possano costituire strumenti di riflessione e di lotta. A questi si aggiungono delle riproduzioni dei manifesti presentati alla Biennale del 1968, “Biennale poliziotta”, “Biennale fascista”, “occupazione totale della Biennale”, “alla Biennale il più grande padiglione è riservato alla polizia”: “oggi, invece, entrando ai Giardini della 60esima edizione, troviamo uomini in servizio militare passeggiare a difesa di un padiglione che rappresenta la prevaricazione e il genocidio del popolo palestinese”, si legge nel manifesto del padiglione del dissenso.
Il padiglione del dissenso. Pratiche di contestazione tra istanze passate e presenti
Il padiglione del dissenso, dunque, non è altro che un tentativo di sottolineare la necessità di “portare avanti pratiche di contestazione che hanno tutt’altro che esaurito il proprio significato, portando avanti parallelismi tra istanze passate e presenti”, racconta ad Artribune Elvira Vannini. Dopo le performance Dal Fiume al Mare di Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi con l’artista palestinese Amal Basir (in arte Aob che ha anche presentato Ti scrivo una lettera) e What Language Should I Speak in So That The World Hears Us? di Alice Pettorazzi, Noemi Simonti, Hanming Feng, Ruizi Gao e Huang Yushuang, sono seguiti interventi tematici – con l’introduzione di Kenny Alexander Laurence – che hanno affrontato diverse questioni e avvenimenti storici, dalle contro-narrazioni decoloniali della storia (con Elisa Caggiula, Vittoria Cisi Dessy, Lei Dong, Bianca Fabbri, Camilla Ferrone, Sofia Gonzalez, Alessia Luigetti e Federica Zauli) all’art washing (con Edoardo Bonacina, Francesca Di Caro, Alessandra Di Rito, Irene Lainati e Barbara Lo Presti), dal racconto di esempi di contestazione tra il 1968 e il 1976 (con Nicola Faini, Alessandra Martina, Daniela Noviello, Sidonie Pellegrino, Kamil Sanders e Claudia Spoto) all’International Art Exhibition for Palestine del 1978(con Zhefeng Cheng, Qinghe Mai, Lu Sun e Wang Hanyi) e alle note sui Padiglioni Spagnolo e Olandese (con Benedetta Mantegazza).
Il padiglione del dissenso. Parola alle studentesse e agli studenti della Naba di Milano
“Per l’occasione abbiamo pensato a un padiglione che andasse oltre l’identificazione nazionale e che accomunasse quelle che sono state le contestazioni durante le biennali d’arte del 1968, 1974 e 1976. L’obiettivo è concentrarci sul dissenso che è stato manifestato in queste occasioni all’interno dell’istituzione, che in passato fu tutt’altro che neutrale. Non intendiamo, tuttavia, generare sentimenti divisivi ma un momento di scambio e dialogo che sia di condivisione e insieme confronto. Ci piacerebbe anche portare il padiglione del dissenso fuori dal contesto universitario e generare altre occasioni simili all’interno del sistema arte”, racconta ad Artribune Daniela Noviello, una delle studentesse che hanno preso parte all’iniziativa.
Caterina Angelucci
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