Intervista a Diego Miguel Mirabella, l’artista della relazione e della scrittura visiva
Tra una mostra personale appena conclusa presso Studio Sales a Roma e un Palio realizzato per la Quintana di Foligno, l’artista siciliano racconta la sua visione e la sua ultima produzione
Diego Miguel Mirabella (Enna, 1988; vive e lavora tra Roma e Bruxelles) è un artista insolito: il suo processo artistico non rappresenta mai un percorso isolato ma nasce e si sviluppa nella restituzione, nel dialogo, nella ricerca e accoglienza dell’immaginario culturale di altri artisti o artigiani locali.
Chi è Diego Miguel Mirabella
Questi vengono coinvolti nel tentativo di indagare il confine della comunicazione e dello scambio, dove lo scambio può diventare conflitto e dunque elemento generativo dell’opera stessa. Per Mirabella è fondamentale l’approccio alla relazione, alla percezione e all’interazione tra linguaggio visivo e verbale che sperimenta lavorando con una grande varietà di media, tra cui pittura, disegno, installazione, video e performance. La sua abilità nel guardare e rielaborare la realtà circostante induce lo spettatore a scoprire sempre nuovi aspetti sul proprio stesso quotidiano.
A Roma, l’artista siciliano è di recente stato protagonista di una mostra presso Studio Sales; e a lui, quest’anno è spettato il compito di ideare il primo dei due palii della Quintana di Foligno, realizzato a quattro mani con un artigiano locale. Lo abbiamo intervistato per saperne di più sulla sua ricerca.
Intervista a Diego Miguel Mirabella
Quali sono i numi tutelari che sottendono la tua ricerca? C’è un artista cui ti sei ispirato e che ti ha particolarmente influenzato nella tua pratica?
Non ho numi tutelari, non lo permette la mia predisposizione caratteriale e la natura dell’Arte: tragica, sconsiderata, senza alternative, ricerca dell’unicità. Nonostante ciò, sì, ho avuto amori spassionati: Samuel Beckett, Luigi Pirandello, Bertolt Brecht, Francis Alÿs, Walt Whitman, Sigmund Freud, Albert Camus, Andrea Pazienza, Stefano Tamburini, la rivista Frigidaire, Bob Dylan, Dante, Carlos Santana, Compay Segundo, Eugenio Montale, Meister Eckhart, Fernando Pessoa, Emmanuel Carrère, Fëdor Dostoevskij, Lev Tolstoj, Bruce Chatwin, Gino De Dominicis, Jan Vercruysse, Gustave Flaubert, Ernest Hemingway, Omero, Luciano Fabro, Paul Gauguin e tanti altri che non nomino per mancanza di spazio.
Una schiera complessa di rimandi…
Trovo le religioni inspiranti, amo i racconti orali tradizionali, soprattutto le favole. Devo sicuramente tanto a mia mamma che è artigiana e donna capace di provare (e trasmettere) lo stupore per l’operato dei suoi colleghi worldwide; e a mio padre che tra le tante cose è, a mio avviso, un ottimo scrittore.
L’arte che discende dalla relazione
Le tue opere spesso coinvolgono altri soggetti, da artisti ad artigiani, incoraggiando una partecipazione attiva nella riflessione sulle relazioni e interazioni reciproche. Da cosa nasce questa esigenza?
Dalla necessità di non essere solo e, al contempo, di uscire da me stesso, dalle mie capacità. Mi affascina l’idea di lavorare con altri attori, come fossi parte di un collettivo ma con la responsabilità di scegliere in prima persona la trama finale, il senso dei vari capitoli: così considero infatti i singoli progetti che appartengono alla mia eterogenea produzione di senso. Non lavoro con artigiani canonici, ma con scribi visivi di antiche tradizioni alle quali mi avvicino con la stessa curiosità con la quale i bambini sono soliti fare con i pescatori: fare domande impazienti per ricevere risposte pacate.
Parlaci della tua ultima personale presso Studio SALES di Norberto Ruggeri a Roma.
Porta su di te ciò che vuoi, è una mostra che ho immaginato come manifesto procedurale del lavoro, percorso della mia eterogenea produzione. L’augurio, rappresentato dal titolo, nasce dal tentativo di approcciare un tema delicato e attualissimo come quello dell’appropriazione/apprezzamento culturale, al fine di attraversare la linea di confine tra un termine e l’altro.
Che ruolo ha la tua firma?
La mia firma, trait d’union di tutta la mostra, è il segno che vibra tra il desiderio di possedere e quello di partecipare e che ingloba, tra i tanti elementi, anche una porzione del lavoro dell’artista della mostra precedente, Avish Khebrehzadeh. Lo stesso avviene in Paesaggio Mirabella (erotica), 2024, una serie di quadri di piccole dimensioni realizzati su Patta chitra (palm leaf engraving) – foglie di palma essiccate e incise, tipiche della regione indiana di Odisha – raffiguranti scene del kamasutra sui quali brilla una firma cromata che divide in due lo spazio, intromettendosi tra le scene erotiche raffigurate nei manufatti indiani.
Anche in questa occasione il concetto di scambio, di Potlatch – una forma invertita di capitalismo in cui è la generosità a generare beni a sua volta – diventa prioritario…
Lo sforzo è stato proprio quello di far scaturire dai lavori in mostra e dal grande site-specific una sorta di scambio dialettico, alle volte apparentemente distruttivo ma che io invece anelo si mostri come scambio e appunto, portato.
Diego Miguel Mirabella e il Palio per la Quintana di Foligno
Chiamato a realizzare quest’anno il Palio della Sfida di giugno per l’Ente Giostra della Quintana di Foligno, ti sei relazionato ancora una volta con un contesto per te nuovo, con un’opera a quattro mani in collaborazione con lo stilista Massimo Fiordiponti.
Entrare in un contesto come quello della Quintana di Foligno, già strutturato e con i suoi simboli e rituali, mi ha fatto riflettere sulla necessità di realizzare un Palio che fosse il più possibile vicino agli abitanti della città. Io ho solo fatto da editor mettendo “in festa” gli elementi simbolici e decorativi della Quintana attraverso l’uso di diverse passamanerie/festoni e decori scelti tra quelli usati per gli abiti cerimoniali della città. Fiordiponti è, oltre a un ottimo stilista, anche l’insider che meglio poteva interpretare i miei spunti.
Cosa rappresenta per te e che valore attribuisci all’elemento decorativo?
Il decoro è, nel mio immaginario, una sorta di lingua visiva il cui limite non è quello di raccontare solo sé stesso, ma quello di essere una lingua non parlata, indecifrata. Io mi reputo uno scrittore visivo che usa la decorazione nel tentativo di scrivere un’Odissea: perciò una storia tormentata di un viaggio di ritorno, che coincide, forse, con la realizzazione del sé.
Progetti per il futuro a breve e lungo termine?
Appunto, questo lungo ritorno a casa.
Marta Silvi
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