Natura, autorappresentazione, desiderio nella videoarte femminista
Cinque pioniere (+ 1) della videoarte sono protagoniste di una mostra online. Un viaggio alla scoperta dell’autorappresentazione del corpo (e del desiderio) femminile
Nella storia dell’arte, la figura femminile è stata rappresentata dagli artisti (uomini) attraverso quello che oggi, grazie alla critica e intellettuale femminista Laura Mulvay, chiamiamo male gaze: uno sguardo maschile che subordinava l’immagine della donna al soddisfacimento del piacere visivo dell’uomo (eterosessuale, caucasico, di classe agiata). Il lungo processo di riappropriazione dell’immagine da parte delle donne, finalmente in grado di auto-rappresentarsi attraverso il proprio stesso sguardo, riuscirà ad emergere soltanto a partire dagli Anni Sessanta, attraverso le pratiche artistiche femministe. In questo percorso la videoarte svolge un ruolo fondamentale: le artiste che utilizzano questo mezzo sono profondamente consapevoli dell’oggettificazione del corpo femminile nelle immagini in movimento, nel cinema e nelle arti visive in generale. Ed è per questo che la videoarte è, tutt’oggi, uno dei mezzi espressivi a cui ricorrere se si vuole tracciare una storia dell’arte femminista. La mostra She-Wolves_erotism>love>body riesce nell’intento, riunendo alcuni esempi di opere video realizzate da artiste che, negli Anni Settanta e Ottanta, hanno esplorato la rappresentazione del corpo (e della sessualità) femminile.
La mostra online sulla videoarte femminista
Curata dalla ricercatrice e storica dell’arte Laura Leuzzi, e visibile online presso la Re_Exhibit_ Rewind Online Gallery fino al 31 agosto, la rassegna riunisce le opere di cinque pioniere – Antonie Frank Grahamsdaughter, Bettina Gruber, Živa Kraus, Lydia Schouten e Maria Vedder – e un lavoro più recente che “eredita” il lascito delle sperimentazioni del secolo scorso, firmato dall’italiana Elisabetta Di Sopra. “Re_Exhibit_ Rewind Online Gallery”, spiega la curatrice, “nasce dalla volontà con Adam Lockhart – che dirige con me la galleria – di dare spazio a nuove ricerche e sperimentazioni curatoriali sulla videoarte cosiddetta ‘delle origini’, stimolando nuove commissioni e risposte all’archivio di ‘Rewind’ (che conserva oltre 500 opere di videoarte britannica) e a progetti come ‘EWVA’ e ‘Rewinditalia’ (sulla videoarte italiana) favorendo un dialogo intergenerazionale e l’apertura a nuovi temi e metodi. Siamo aperti a proposte e stiamo attualmente lavorando alla programmazione per le prossime stagioni”
L’analogia tra la donna e la lupa
Il percorso di visita prende il via con un lavoro giovanile dell’artista canadese-svedese Antonie Frank Grahamsdaughter, concepito mentre era studentessa alla Jan Van Eyck Academie di Maastricht. Realizzato nel 1986, il video Transit indaga la profonda connessione tra il corpo femminile e la natura: attraverso i movimenti del proprio corpo nudo, l’artista si allinea con quelli dei lupi che cacciano nei boschi. E in effetti, l’analogia tra la donna e la lupa è nevralgica in tutta l’esposizione, il cui concept prende ispirazione dal libro Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estès (1992): “lupi e donne sono affini per natura”, scrive la psicanalista statunitense nell’introduzione, “sono curiosi di sapere e possiedono grande forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti nell’arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli; sono fieramente gagliardi e molto coraggiosi”.
Il legame tra la natura e la femminilità
Al desiderio e alla sessualità femminile è dedicata la videoinstallazione The Lone Ranger Lost in the Jungle of Erotic Desire (1981) dell’olandese Lydia Schouten, che vede l’artista intenta a dipingere con il proprio corpo nudo ricoperto di vernice e poi, in ulteriori sequenze, suonare strumenti tribali, ballare, muoversi liberamente. Il viaggio di She-Wolves_erotism>love>body si conclude infine con Senza Tracce di Elisabetta Di Sopra, che nel 2023 si filma mentre cammina scalza nel deserto del Wadi Rum, in Giordania, cancellando le tracce dei propri passi. Così, la donna figura femminile diventa un archetipo, un personaggio sciamanico – “she-wolf” – che si fonde con la natura e che usa il proprio corpo come strumento per fare esperienza del mondo.
Laura Cocciolillo
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