Interiorità e spazio pubblico nell’arte di Francesco Alberico 

Poetica, a tratti malinconica e perturbante, l’opera del giovane artista Francesco Alberico è al centro dello Studio Visit usciti sull’Artribune Magazine numero 78. L’abbiamo intervistato

Osservare in sequenza le opere di Francesco Alberico (Pescara, 1996) può produrre un effetto distensivo. Si tratta, molto spesso, di immagini fotografiche che mostrano gesti candidi e stranianti, perlopiù compiuti in spazi urbani con un inconfondibile sapore di provincia; oppure sculturine che ricreano scenari minimi, vagamente malinconici; e ancora, disegni di piccolo formato, fatti col carboncino, nel letto, poco prima di addormentarsi. C’è un senso di provvisorietà e stupore che pervade il suo fare, come se le opere fossero il frutto della mente e della mano di un piccolo principe da poco approdato su questo pianeta; un pianeta che Alberico esplora con curiosità e purezza, attraversando il paesaggio concreto della città o i meandri immaginari della fase onirica. Poetica e quasi impalpabile, la produzione dell’artista si ferma sempre prima di scivolare nel patetismo, anzi, rimanendone saldamente a distanza di sicurezza grazie a uno sguardo che non trascura le zone d’ombra, generando visioni delicatamente perturbanti. 

Francesco Alberico, Lungo i margini, 2021, documentazione fotografica della performance, Courtesy l'artista
Francesco Alberico, Lungo i margini, 2021, documentazione fotografica della performance, Courtesy l’artista

Intervista a Francesco Alberico

La tua pratica artistica tende alla registrazione di accadimenti minimi. La formalizzazione dell’opera è in linea con questo approccio: fotografie, disegni di piccolo formato, addirittura un sacchetto di noci consegnato ai partecipanti a una tua performance. Da dove nasce questo desiderio di “leggerezza” nella restituzione dell’opera?  
La mia ricerca è fortemente legata al desiderio di indagare il rapporto tra la dimensione interiore del pensiero, dell’immaginazione o del sogno e la realtà esterna, condivisa con gli altri. Forse questa leggerezza deriva proprio dal fatto che la materia prima dalla quale nascono queste opere è pressoché intangibile. Quel sacchetto di noci al quale ti riferisci appartiene a un’azione rappresentativa di questo approccio, nella quale offrivo ai visitatori della mostra la possibilità di ricevere un sacchetto di noci in cambio del racconto di un loro sogno, creando una sorta di cortocircuito tra una realtà più concreta, in questo caso un frutto dalla forma molto simile a quella di un cervello, e una più simbolica, quella della dimensione onirica, che prende forma al buio, come un gheriglio di noce all’interno del suo guscio. 
Mi piace molto, poi, coltivare il disegno e l’acquerello, in particolare poco prima di dormire. È quel momento della giornata dalla quale cerco di pescare immagini e pensieri sparsi che si sono depositati in me durante il giorno, come quando si va a prendere l’acqua da un pozzo. Una volta finito il disegno, spengo la luce. 

Lo spazio pubblico è forse il contesto dove hai realizzato la maggior parte delle tue opere. Mi piacerebbe sapere il perché hai eletto strade e piazze a contesto prediletto del tuo fare arte. 
Ho sempre trovato molto stimolante l’idea che un passante possa imbattersi in un’opera d’arte senza essere preparato a quell’incontro, spontaneo e inaspettato. Sono rimasto poi folgorato durante i miei studi accademici dalla ricerca di artisti storicizzati come Jiri Kovanda, Milan Knižák e il più recente Paweł Althamer, che mi hanno portato a riflettere molto sulla potenzialità che i corpi possono avere con la propria presenza e postura nello spazio condiviso. Il reclamare uno spazio fisico per la propria immaginazione e le proprie idee, in luoghi come strade e piazze, ha per me un valore fortemente politico, oltre che estetico. Penso sia una necessità che appartenga a tutti, non solo agli artisti. Mi piace immaginare che compiere certe azioni, per esempio stendersi a terra su dei fogli di giornale, come nel lavoro Sul quotidiano, possa in qualche modo stimolare chi osserva questi strani gesti a riflettere sull’uso del proprio corpo e sulla libertà che esercita nel dar voce ai propri desideri e alla propria immaginazione. 

Non hai una galleria che rappresenti il tuo lavoro. Ne senti la mancanza? Quali pensi siano le opportunità o, al contrario, i problemi legati a questa condizione? 
Mi piacerebbe instaurare un dialogo più approfondito con una galleria, potrebbe contribuire a dare una certa stabilità e un certo stimolo alla propria ricerca. Può inoltre aprire delle opportunità con realtà e istituzioni che spesso si interfacciano con le gallerie per costruire nuovi progetti.  

Un punto di forza e una debolezza del tuo lavoro? 
Un’attitudine che cerco di coltivare, e che credo possa essere un punto di forza, è il progettare e realizzare lavori dei quali sento una reale e fisiologica impellenza. Allo stesso tempo, ciò può trasformarsi in una debolezza quando a volte, in momenti più incerti o a causa di una certa autocritica, lascio meno spazio a idee più fragili. 

Mi ritrovo spesso a rivolgere questa domanda agli artisti di questa rubrica: come riesci a sostenere l’affitto di uno studio e, in generale, le spese legate al tuo percorso artistico? E cosa ne pensi del sistema dell’arte italiano, in relazione alle possibilità che vengono date agli artisti con meno di 35 anni? 
Per sostenere le spese legate al mio percorso artistico, da non molto tempo lavoro come insegnante di sostegno in un liceo. Non è facile portare avanti sia la propria ricerca che un’altra professione, ma almeno ho la fortuna di rimanere legato a una certa dimensione di studio e di riflessione che non si allontana molto da quelli che sono i miei interessi. Senza dubbio però, confrontandomi con altri artisti della mia generazione che vivono in Italia, emerge una generale precarietà nel portare avanti la propria ricerca, probabilmente a causa di un sistema che non offre stabili iniziative di supporto e investimento nel settore della cultura contemporanea. 

Hai scelto di vivere a Pescara, dove c’è una scena artistica particolarmente vivace, in continuità con la storia recente della città, che ha ospitato esperienze come “Fuori Uso” e vede la presenza di gallerie importanti, spazi indipendenti, fondazioni storiche e altre più recenti. Senti di essere nel posto giusto per portare avanti la tua ricerca?  
Qui a Pescara mi puoi incontrare spesso al mare oppure in bicicletta, correndo lungo le vie del centro. Vivere in una città come questa offre un certo tipo di spazio e di tempo – molto disteso – che difficilmente ho trovato altrove. Poi, come dicevi, ci sono diverse realtà dove poter coltivare un dialogo, in primis i miei amici-artisti del collettivo Senzabagno, oltre a realtà che con passione portano avanti molte iniziative, nonostante a volte la risposta della cittadinanza non sia così incoraggiante. È anche collegata abbastanza bene con centri più grandi, quindi non è difficile prendere e partire, quando è necessario. Però non escludo l’idea di spostarmi altrove per proseguire la mia ricerca e la mia esperienza di vita, anzi, credo che stia arrivando il tempo di nuove esplorazioni. 

Saverio Verini 

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Saverio Verini

Saverio Verini

Saverio Verini (1985) è curatore di progetti espositivi, festival, cicli di incontri legati all’arte e alla cultura contemporanea. Ha all’attivo collaborazioni con istituzioni quali Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, MACRO, Accademia di Francia…

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