Storia del battiloro fiorentino Giusto Manetti. Dalla bottega rinascimentale all’arte contemporanea
Avviata all’inizio del Seicento l’attività della famiglia Manetti preserva un mestiere antichissimo e oggi produce ancora la foglia d’oro secondo il metodo tradizionale. Però su scala globale e rifornendo artisti, architetti e designer di tutto il mondo
Persino Leonardo da Vinci, forte della versatilità che gli apparteneva, dedicò un progetto all’invenzione di un innovativo maglio per battiloro: il disegno è oggi contenuto nel Codice Atlantico. Un tentativo, il suo, di meccanizzare un mestiere antichissimo probabilmente importato dalla Cina, già ben documentato nell’antico Egitto e nelle civiltà greco-romane, che a cavallo tra XV e XVI secolo acquisì a Firenze grande importanza. Un secolo più tardi, all’inizio del Seicento, nasceva in città l’attività di un battiloro sopravvissuto al tempo, Giusto Manetti, che da 15 generazioni tramanda i segreti della trasformazione dell’oro da lingotto in foglia sottilissima, lamina lucente e quasi impalpabile ottenuta attraverso la battitura del prezioso materiale.
Il mestiere del battiloro: come si produce la foglia d’oro
Un processo lungo e complesso, che richiede oltre dieci ore di lavorazione, a partire dai lingotti – in oro puro fuso con altri metalli nobili, in proporzione variabile – verso la progressiva sbozzatura e laminazione del metallo, che raggiunge lo spessore di pochi micron. Solo allora inizia la fase di battitura, in cicli successivi con magli meccanici: l’ultimo step, quello della rifinitura, è ancora oggi realizzato interamente a mano, con martelli di forme e pesi differenti, per ottenere il risultato finale.
Proprio con l’intento di migliorare le condizioni di lavoro degli artigiani e di aumentare la produttività delle botteghe, Leonardo progettò una macchina capace di ridurre lo spessore del metallo da 500 a 30 micron, messa in funzione da una ruota motrice principale che azionava contemporaneamente una serie di congegni e automatismi costituiti da carrucole e ruote dentate.
La storia di Giusto Manetti. Le origini della bottega artigiana
Un marchingegno visionario, forse mai utilizzato, però all’origine di quella evoluzione della tradizione produttiva del battiloro che è stata importante anche per il successo di una realtà come Giusto Manetti, operativa da oltre 400 anni. Oggi l’azienda fiorentina è una S.p.A. da decine di milioni di euro di fatturato all’anno, leader del mercato globale e ambasciatrice dell’artigianato made in Italy di alto profilo.
In equilibrio tra una storia plurisecolare e lo slancio dato dall’innovazione tecnologica.
All’inizio del Seicento, i Manetti gestiscono una piccola bottega familiare di doratori, intagliatori, decoratori e battiloro che subito riceve incarichi di prestigio: nel 1602 Matteo Manetti, su incarico del Granduca Ferdinando II de’ Medici, cura il restauro della palla d’oro che sormonta la cupola del Duomo di Firenze. Già alla metà del Seicento la bottega si sposta a Santo Stefano in Pane, appena fuori dalle mura della città, per far fronte all’aumento delle committenze. E l’attività sopravvive nel Settecento alla fine del governo dei Medici, allargando l’offerta alla pittura e poi alla tessitura di broccati: è il 1760 quando un nuovo trasloco riporta la bottega in centro città, nel quartiere di San Lorenzo.
La meccanizzazione e la nascita di un’azienda internazionale
Nel XIX secolo si realizza, invece, il passaggio da realtà artigianale a fabbrica meccanizzata: l’azienda viene registrata per la prima volta con il nome di Giusto Manetti. Crescono la qualità del prodotto, i profitti, gli investimenti in macchinari all’avanguardia: nel 1861 l’azienda partecipa alla Prima Esposizione Nazionale di Firenze, ricevendo la prima di una serie di medaglie al merito. Si arriva così all’internazionalizzazione del Novecento, con la nuova sede di via Ponte alle Mosse (per un centinaio di dipendenti impiegati: arriveranno a trecento entro il 1940) e le importanti committenze dall’estero, per il Rockefeller Center di New York, la Reggia di Versailles, il Cremlino, Buckingham Palace a Londra.
Nel 1944, però, l’azienda viene rasa al suolo da un bombardamento degli Alleati; la ricostruzione è rapida, nel ’46 l’impianto torna operativo. Sempre più riconosciuta sul piano internazionale, l’azienda sarà chiamata a collaborare con il British Museum e la NASA. E anche nel 1966, a seguito dell’alluvione che distrugge nuovamente i suoi spazi, il battiloro si rinnova ancora, lanciando la volata alla crescita dei decenni a seguire. Dal 2013, il nuovo quartier generale si raggiunge a Campi Bisenzio.
Il battiloro al servizio dell’arte. Giusto Manetti e gli artisti contemporanei
Oggi come molti secoli fa, tra i principali clienti del battiloro ci sono gli artisti (e i restauratori: con la foglia d’oro dell’azienda è stato completato anche il restauro del Crocifisso di Giotto in Santa Maria Novella).
Nella storia dell’arte, la foglia d’oro è stata “strumento” essenziale per “accendere” le pale d’altare, ornare sculture, decorare cornici, edifici, complementi d’arredo, intarsiare ceramiche o vetri. E il rapporto con l’arte si rinnova nel riscoperto interesse di alcuni artisti contemporanei per l’oro, da Giuseppe Penone (con i suoi alberi dorati) a Mimmo Paladino (per il Dormiente d’oro ai Giardini di Boboli nel 2017), a Federico Gori (presente sull’isola Bisentina con l’installazione ambientale Vello d’oro), James Lee Byars (per la Golden Tower proposta sui canali di Venezia alla Biennale 2017) e Remo Salvadori. Anche il coreografo fiorentino Virgilio Sieni ha utilizzato in passato la foglia d’oro di Giusto Manetti per la scenografia del suo Cantico dei Cantici.
La foglia d’oro di Giusto Manetti per le architetture più celebri al mondo
Ma le lamine lucenti lavorate dal battiloro fiorentino si scoprono anche in edifici di tutto il mondo, dalla Biblioteca di Brooklyn alla Boghossian Foundation di Bruxelles al Matrimandir di Auroville in India. Per il rivestimento in oro della Haunted House di Rem Koolhaas in Fondazione Prada, Giusto Manetti ha fornito nel 2015 200.000 foglie d’oro. E si spazia ancora, guardando all’interior design, dallo storico ristorante parigino Train Bleu al Savoy Hotel di Londra.
I campi di applicazione della foglia d’oro, d’altro canto, si sono ampliati a comprendere nuovi territori da esplorare. Così oggi Giusto Manetti produce anche oro edibile per uso alimentare e oro cosmetico.
Si conserva intatta, però, l’identità della bottega artigiana che fu, custodita negli strumenti di un lavoro certosino, dai martelli rigorosamente in legno per la rifinitura al cuscino per il taglio delle foglie, ai libretti in carta velina che le racchiudono.
Livia Montagnoli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati