A Francoforte c’è una grande mostra sull’arte decoloniale africana

Alla Schirn Kunsthalle 100 opere raccontano la storia e i protagonisti della Scuola di Casablanca: uno dei più importanti movimenti artistici africani, che segnò un passo avanti nella riscoperta dell’identità marocchina

Nei primi Anni Sessanta contribuì in maniera sostanziale a rilanciare e far conoscere attraverso l’arte il patrimonio etnografico marocchino. Oggi, la Schirn Kunsthalle di Francoforte rende omaggio a questo movimento attraverso Casablanca Art School. A Postcolonial Avant–Garde 1962–1987, la prima mostra istituzionale che in 100 opere documenta in maniera esaustiva l’influente eredità di questo importante movimento artistico che segnò una tappa importante nel processo decoloniale africano.

La mostra sulla Scuola di Casablanca alla Schirn Kunsthalle di Francoforte

Il percorso espositivo si sviluppa su otto sezioni, che dagli esordi del movimento documentano il suo passaggio verso il concetto di arte pubblica e le varie sperimentazioni con linguaggi artistici differenti. Lo scopo era partire dalla conoscenza pratica delle arti applicate arte, (artigianato, design e architettura), ispirandola al passato artistico tradizionale per creare una prospettiva futura che riflettesse la realtà di un Paese che stava costruendo la sua indipendenza, un contesto in cui l’artista è chiamato a un ruolo attivo nella società. Un concetto che riecheggiava la precedente visione del Bauhaus

La Scuola di Casablanca contro gli accademismi

Un altro obiettivo era quello di rovesciare l’accademismo della tradizionale pittura da cavalletto, che si aprì a nuove possibilità introducendo strategie tratte dal campo della grafica.
Mohammed Chabâa cercò di ridefinire la calligrafia classica attraverso l’arte della tipografia moderna e il suo corso infuse la pittura con la neo-calligrafia e la decorazione.
In fatto di recupero delle radici afro-amazigh, il lavoro di Chabâa riflette una profonda conoscenza della tradizionale creazione di motivi marocchini e Amazigh e delle piastrelle multicolori (note come zellige), mentre allo stesso tempo si confrontava con le strategie visive e l’estetica della geometrica globale e dell’Op Art. 
Invece, i caratteristici motivi a onda presenti in gran parte delle opere di Mohamed Melehi attingono agli approfonditi studi di Bert Flint sull’arte ornamentale tradizionale, in particolare le sue analisi dei segni e dei simboli presenti nei tappeti e nei gioielli Amazigh. Dalle opere della Scuola di Casablanca emergono tutti i colori del Marocco che già profuma di Oriente e le sue millenarie radici culturali, ma soprattutto il movimento ha innescato un periodo di rinascita aprendo la strada a una nuova generazione di artisti moderni socialmente impegnati che, a loro volta, hanno dato vita a un’avanguardia che si è estesa oltre i confini del Paese. Sono nate così reti artistiche solidali che hanno contribuito alla lotta al colonialismo.

La Storia della Scuola di Casablanca raccontata a Francoforte

Nel Marocco degli Anni Sessanta, pur in un contesto di preoccupazioni sociali e politiche, Casablanca divenne un vivace centro di rinnovamento culturale, e i pittori Farid Belkahia, Mohamed Melehi e Mohamed Chabâa (formatisi in Marocco e poi a Parigi, Roma e Madrid) fondarono la Scuola di Casablanca: il gruppo prese questo nome nel 1962 quando Belkahia tornò appunto a Casablanca e divenne direttore della scuola cittadina di Belle Arti. Il movimento divenne rapidamente la forza trainante dello sviluppo dell’arte moderna postcoloniale nella regione del Maghreb, aspirando a decolonizzare e liberare l’arte e la cultura, inserendo le opere d’arte nel contesto quotidiano e organizzano una rete culturale fatta di mostre, riviste, dibattiti e festival all’aperto che coinvolgessero l’intera città di Casablanca e non solo. 
L’arte avrebbe dovuto aprirsi alla storia locale e combinarla con la nuova realtà sociale, in modo che il processo di costruzione dei nuovi Stati indipendenti tenesse conto dell’identità culturale locale. Per questo la Scuola di Casablanca unisce elementi decorativi e tecniche artigianali dell’eredità Afro-Amazigh (marginalizzata durante l’era coloniale) all’astrazione geometrica tipica del movimento Bauhaus. 

Gli sviluppi della Scuola di Casablanca in mostra a Francoforte

Parallelamente alla loro attività artistica, i pittori aprirono laboratori di fotografia, architettura e calligrafia presso la Scuola di Belle Arti, per un percorso completo dove arti plastiche e grafiche si incontravano. Furono ampiamente esposti all’estero negli Anni ‘60 e ‘70, per il loro impegno politico: difendevano il panarabismo, la causa palestinese e le istanze dei “Paesi non allineati”, da qui la loro partecipazione a vari eventi artistici da Baghdad ad Algeri. Questo legame fra arte e politica spiega perché l’opera di questi artisti venne gradualmente dimenticata, quando gli ideali politici che la sostenevano persero la loro rilevanza. Tuttavia, la visione della Scuola di Casablanca ebbe respiro internazionale, i suoi ideali sono ancora profondamente attuali, e la mostra di Francoforte ne celebra, giustamente, l’importanza.

Chabia Tallal, Cérimonie de Mariage, 1983¸ The estate of the artist. Courtesy of private collection, Marrakech
Chabia Tallal, Cérimonie de Mariage, 1983¸ The estate of the artist. Courtesy of private collection, Marrakech

Il patrimonio etnografico del Marocco in mostra a Francoforte

Un altro contributo importante portato alla cultura marocchina dalla Scuola di Casablanca fu la riscoperta dell’eredità culturale locale, utilizzata come fonte di ispirazione per le opere d’arte del movimento; prendendo spunto dai tappeti, dai gioielli, dalla calligrafia e dai soffitti dipinti delle case della regione, gli artisti coniugarono l’arte astratta con le tradizioni arabe e berbere (o Amazigh). 

Le ricerche di Bert Flint sulla cultura magrebina

Bert Flint, docente presso la scuola d’arte di Casablanca, condusse un’approfondita ricerca etnografica nella regione compresa fra l’Alto Atlante e le montagne dell’Anti-Atlante. Seppe spiegare il ruolo fondamentale delle popolazioni sahariane all’interno del patrimonio multiculturale del Marocco, dimostrando che la civiltà non nacque soltanto nei centri urbani attorno al commercio, ma anche nel deserto con le sue popolazioni nomadi.  
Flint documentò la complessità della società marocchina post-indipendenza e la ricca varietà decorativa delle arti e dell’architettura, sia rurali sia metropolitane, raccogliendole in un vasto archivio fotografico. Sin lì assenti dalle collezioni artistiche museali, gli oggetti del patrimonio africano, Amazigh, islamico e mediterraneo, “riemersero” attraverso le opere degli artisti della Scuola di Casablanca, che rivisitarono tradizioni artigianali che la storia dell’arte occidentale aveva considerato soltanto utilitaristiche o ornamentali, combinandole con la calligrafia, simboli decorativi e motivi geometrici con significato spirituale, utilizzando materiali di provenienza locale come rame, cuoio, legno e lana. In particolare, la cultura berbera (o Amazigh), che precedette l’arrivo degli Arabi nella regione del Maghreb, fu anche quella che segnò la radice più profonda del patrimonio etnografico marocchino.

Niccolò Lucarelli

Casablanca Art School. A Postcolonial Avant–Garde 1962–1987
Schirn Kunsthalle, Francoforte, 
Fino al 13 ottobre 2024

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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