Inizia dopo 30 anni la costruzione dell’Ars Aevi. Sarajevo avrà il suo museo d’arte contemporanea
Dal primo embrione del progetto, concepito durante la guerra nell’ex Jugoslavia come forma di resistenza, sono passati decenni. Nel frattempo la collezione d’arte del futuro museo ha raggiunto oltre 150 opere donate da artisti di tutto il mondo. Ora il traguardo è più vicino, anche grazie all’impegno dell’Italia
Era il 1992 quando nella Sarajevo ridotta in macerie dal conflitto serbo-bosniaco Enver Hadžiomerspahić (già direttore della Biennale di Sarajevo nel 1987 e ’89, prima del deflagrare dello scontro) piantava il germe del museo di arte contemporanea Ars Aevi, forma di resistenza culturale alla tragedia della guerra. Allora, in una città ancora lontana da un ritorno alla normalità, il progetto nasceva nella forma di un’alleanza con centri d’arte contemporanea di altri Paesi geograficamente e culturalmente vicini alla Bosnia-Erzegovina, con l’Italia – Prato con il Centro Pecci e Milano con Spazio Umano nello specifico, ma anche le fondazioni veneziane Querini Stampalia e Bevilacqua La Masa – in prima linea nel contribuire alla creazione di una collezione per il museo in nuce, in attesa della sua realizzazione. Il primo artista a donare un’opera fu Michelangelo Pistoletto, che scelse la sua Porta dello specchio. Presto si aggiunsero Jannis Kounellis, Joseph Kosuth, Ilija Soskic, Remo Salvadori, Daniel Buren, Anish Kapoor, Bill Viola e molti altri, selezionati dai curatori delle istituzioni coinvolte nel progetto: nel 2014, a dieci anni dal lancio dell’iniziativa, le opere conservate in un deposito temporaneo erano già più di 150, in un mix di nomi affermati sulla scena internazionale e artisti emergenti. Eppure una sede permanente era ben lungi dal concretizzarsi.
Renzo Piano e il progetto architettonico per Ars Aevi
Nel frattempo, nel 1999, Renzo Piano si era impegnato a disegnare il progetto architettonico per il futuro Ars Aevi (parziale anagramma di Sarajevo, e, dal latino, “arte dell’epoca”): l’architetto genovese decise di sostenere a titolo gratuito l’operazione in qualità di ambasciatore Unesco; in città, nel 2002, avrebbe inaugurato come primo step il ponte pedonale che attraversa il fiume Miljacka, conducendo al luogo individuato per la costruzione dell’edificio museale, in prossimità del Museo Archeologico e del Museo della Rivoluzione. Mentre al 2018, ancora in attesa dell’inizio dei lavori, risale una nuova fase di creazione della collezione, con l’allestimento e l’integrazione permanente di opere degli artisti fondatori, provenienti da tutto il mondo, negli spazi pubblici e nelle strutture urbane della città di Sarajevo.
Verso la realizzazione dell’Ars Aevi di Sarajevo
Oggi le opere della collezione sono in gran parte esposte presso la Vijećnica, sede della Municipalità ed ex Biblioteca Nazionale. Ma l’ultimo anno è stato fondamentale per arrivare, finalmente, all’avvio della fase esecutiva del progetto di realizzazione del museo, sancito dalla simbolica consegna del permesso di costruzione da parte del sindaco di Novo Sarajevo, Hasan Tanović, in occasione della cerimonia pubblica tenutasi lo scorso 22 agosto. E l’Italia ha giocato nuovamente un ruolo importante, finanziando tramite interventi dell’Agenzia italiana di cooperazione allo sviluppo (AICS) lo studio di progettazione esecutiva dell’edificio museale presentato nel 2023 dallo studio di Sarajevo Non Stop (sotto la supervisione del Renzo Piano Building Workshop), snodo fondamentale per la cantierizzazione dell’opera. Ma sarà anche il fondo fiduciario multi-donatori promosso dall’Unesco per supportare l’iniziativa a favorire la raccolta delle risorse necessarie alla realizzazione dell’edificio e alla manutenzione delle opere della collezione. Lo scorso aprile si è chiuso il bando per individuare la ditta che costruirà il museo, di cui ora è stata simbolicamente firmata la prima pietra.
Dal tour virtuale al nuovo Ars Aevi
Al momento l’unico modo per “visitare” la collezione resta il tour virtuale proposto sul sito di Ars Aevi, già dotato di un logo e di un manifesto che inneggia al “linguaggio universale delle arti” e alla “cultura come madre della tolleranza”. Ma il lieto fine della storia, vero inizio per l’attività del museo, sembra più vicino.
Livia Montagnoli
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