“Il sistema dell’arte non sta funzionando”. A Roma chiude un’altra giovane galleria
Nata nel 2019 su un'idea dell'imprenditore Filippo Tranquilli, Divario chiude i battenti. La causa? Il mal funzionamento del mondo dell'arte
Fra l’erboristeria e il bar di quartiere di via Famagosta, nel rione Prati di Roma, al piano terra di un palazzo di fine Ottocento, prendeva forma Divario. La galleria d’arte, fondata dall’imprenditore Filippo Tranquilli nel 2019, ha accolto diversi progetti espositivi, passando dall’illustrazione al design, dalla pittura alla fotografia, all’installazione, con l’obiettivo di “esplorare la molteplicità del contemporaneo, per restituire un’immagine accurata delle esperienze artistiche del ventunesimo secolo”, spiegava ad Artribune Tranquilli. Una mission che ha preso forma in 12 mostre sviluppatesi nel corso dei primi anni di attività, e che oggi giunge al termine chiudendo al pubblico a causa del mal funzionamento del mondo dell’arte.
Chiude la galleria Divario a Roma. Parola al fondatore Filippo Tranquilli
“Ho fondato Divario con l’intenzione di colmare il divario che c’è tra l’arte contemporanea e il grande pubblico e investigare il divario che c’è nell’arte stessa”, così si esprime Filippo Tranquilli annunciando la chiusura del suo spazio Divario. “Pensare di sapere come funziona il mondo dell’arte non è come averne contezza. La caratteristica distintiva di un sistema che funziona è l’equilibrio complessivo che si crea fra le singole parti che lo compongono. A mio parere nell’arte c’è squilibrio, non c’è unità funzionale e dovremmo smetterla di considerarla come un sistema perché ‘it doesn’t work’. Divario potrebbe continuare la propria attività grazie all’immensa passione, alla costante dedizione e alle proprie risorse (come ha già fatto in questi 5 anni), ma se il settore non ti aiuta e per giunta ti ostacola, crea barriere, che senso ha? Bisognerebbe invece aiutare e cautelare le realtà in difficoltà, per preservarle e farle crescere”.
Le mostre e gli artisti di Divario a Roma dal 2019 al 2024
Ad inaugurare lo spazio espositivo nel 2019 fu l’architetto – fotografo Simone Bossi (Varese, 1985) con (in) Land, esponendo scatti che si facevano portavoce dell’interiorità umana. A questa si sono poi aggiunte le mostre di: Robocoop, Michela Picchi, Marta Abbott, la bipersonale di Lorenzo Catena e Valeria Tofanelli, Ovidiu Leuce, Renzogallo, Max Renkel, Leonardo Magrelli, Giulio Bensasson e Francesca Cornacchini. Ad animare lo spazio ci sono stati anche progetti collettivi come Lingua Morta, a cura di Davide Silvioli, con protagonisti: Alessandro Costanzo, Jacopo Naccarato, Francesco Pacelli e Bernardo Tirabosco.
Chiude Divario a Roma: cosa rimane del progetto?
Un contenitore d’arte sui generis, così avremmo potuto definire Divario, una realtà su cui l’imprenditore ha investito somme importanti e numerose energie, tra palinsesti espositivi e le partecipazioni a fiere dell’arte. Ma alla fine di questo viaggio cosa rimane? “La gioia di averci provato e il rammarico di non esserci riuscito. La rabbia per fortuna è poca, il rancore non c’è. C’è un po’ di tristezza, la sicurezza di aver fatto bene e la certezza che non è colpa mia. Non è colpa di nessuno”, conclude Tranquilli.
Valentina Muzi
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