12 opere dell’artista Ismailova a Milano. Prima grande mostra in Italia su colonialismo e globalizzazione
La mostra di Saodat Ismailova all’Hangar Bicocca si presenta come una sovrapposizione di ricordi, paesaggi, storie personali e collettive della terra d’origine dell’artista sviluppati attraverso dodici opere, alcune delle quali site specific
La mostra di Saodat Ismailova all’Hangar Bicocca si presenta come una sovrapposizione di ricordi, paesaggi, storie personali e collettive della terra d’origine dell’artista sviluppati attraverso dodici opere, alcune delle quali site specific
Dicono di essere “un’istituzione dedicata alla produzione e promozione dell’arte contemporanea”. Sul quadro luminoso del salone d’ingresso del Pirelli HangarBicocca compare inamovibile da tempo l’hashtag #arttothepeople. Ma può essere coerente con questi enunciati una mostra come quella ora in corso? A Seed Under Our Tongue è la prima personale di Saodat Ismailova in un’istituzione italiana. L’artista che vive e lavora a Parigi è uzbeka, appartiene alla prima generazione dell’era post-sovietica e si presentata ora qui con un’esposizione dove il visitatore si trova a confrontarsi con una realtà aliena. Capita spesso di imbattersi in riflessioni sugli effetti del colonialismo, ma non di quello sovietico.
La mostra di Saodat Ismailova a Milano
A Seed Under Our Tongue si presenta come una sovrapposizione di ricordi, paesaggi, storie personali e collettive della terra d’origine dell’artista sviluppati attraverso dodici opere: video, sculture e tessili alcune delle quali commissionate per l’occasione come è il caso del video Arslanbob (2023-24) o di Amanat (2024) la scultura che riproduce in oro un seme di dattero a grandezza naturale. Per l’occasione lo spazio dello shed a Pirelli HangarBicocca è stato mirabilmente ridisegnato dall’artista in collaborazione con lo studio di architettura Grace di Milano. Il layout si sviluppa tra due grandi schermi a tre canali su cui sono proiettati: Stains of Oxus (2016) e Arslanbob (2023-24), girati rispettivamente sulle rive dell’Amu Darya e nell’area oltre il Syr Darya in Kirghizistan. Stains of Oxus, raccoglie i sogni (che nella regione sono considerati un mezzo per mettersi in contatto con gli antenati) delle persone che vivono lungo le rive del fiume Amu Daraya/Oxus e mostra la trasformazione del suo paesaggio ridimensionamento drasticamente durante i piani d’irrigazione sovietici. Arslanboab è un video di 20 minuti girato in un bosco di noci considerato uno dei luoghi di devozione più antichi dell’Asia centrale.
Saodat Ismailova: le opere in mostra a Milano
Al centro dello spazio altre due aree di proiezione, una di spalle l’altra, presentano in loop quattro film. Da un lato, The Haunted (2017) è un incontro simbolico con la tigre nel Turkestan estinta in epoca sovietica in seguito al processo di industrializzazione. Un animale che però continua a vivere nella memoria collettiva come simbolo del loro rapporto con gli antenati. 18,000 Worlds (2023) riflette sull’idea di resistenza di fronte a una globalizzazione, presentando mondi e voci differenti che si oppongono al suo impatto. Dall’altro lato, Chillahona (2022) si alterna a Two Horizons (2017). Presentata in anteprima in Italia in occasione della Biennale di Venezia nel 2022, Chillahona è un’installazione video accompagnata da un grande ricamo, che traspone elementi del film nel tessuto. Reinterpretazione moderna del ricamo “cosmologico” uzbeko noto come falak insieme alle immagini del film l’installazione affronta il senso di disordine instauratosi immediatamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
L’Uzbekistan di Ismailova
La ricerca di Ismailova incorpora dunque tanto filmati d’archivio o elementi tessili di produzione artigianale contribuendo a preservare attività o tradizioni a rischio di scomparsa. Talosh (2024) è un’installazione che prevede la proiezione di versi appositamente composti per questa esposizione dal giovane poeta uzbeko Jontemir Jondor. Lo schermo irregolare lungo 11 metri è costituito da crine di cavallo impiegato un tempo per segnalare le tombe dei santi o per la produzione di veli femminili. Per As we Fade (2024) Ismailova utilizza invece 24 pannelli fluttuanti di seta trasparente tessuta a mano per proiettarvi immagini d’archivio girate sul monte Sulaiman-Too nel 192: un modo per riflette tanto sul formato del cinema (che normalmente avviene con una proiezione di 24 fotogrammi al secondo) e sulla natura di racconti che vanno perdendosi.
Nel loro complesso tutte le narrazioni proposte ripercorrono metaforicamente la leggenda del viaggio del seme di un dattero – al suo inizio, conservato nella bocca di una figura mitica di nome Arslanbob, fino al dono riservato al più noto mistico dell’Asia centrale, Akhmad Yassawi, che con esso darà vita a un bosco, però di noci e non di datteri. Ismailova sottolinea così la natura contraddittoria di qualsiasi forma di trasmissione messa in atto: così come accade a un dattero che si trasforma noce. Secondo le parole dell’artista, tutti noi “siamo responsabili delle sette generazioni che ci hanno preceduto e delle sette che verranno dopo di noi”.
Le mostre di Vincente Todoli all’Hangar Bicocca
È grazie alla direzione artistica di Vincente Todoli se all’HangarBicocca questa tipologia di esposizioni si sono intensificate. Le Navate hanno ospitato di recente grandi nomi del contemporaneo come Maurizio Cattelan, James Lee Byars, Steve McQueen, Bruce Nauman (prossimamente Jean Tinguely). Ma nello spazio dello Shed a partire dal 2022 hanno fatto la loro comparsa la sudafricana Dineo Seshee Bopape e la coreana Anicka Yi, nel 2023 la vietnamita Thao Nguyen Phan, la belga Ann Veronica Janssen e Gian Maria Tosatti; nel 2024 prima di Ismailova ha esposto Chiara Camoni, mentre nel prossimo anno sarà la volta del libanese Tarek Atoui e della giapponese Yuko Mohri. Una panoramica internazionale che ha coinvolto tal volta artisti alla loro prima personale italiana (ma già apparsi nelle maggiori capitali mondiali e in contesti di grande prestigio). È arte per il popolo (#arttothepeople) questa? Certamente sì: capire cosa stia succedendo al di fuori dei confini “identitari” del nostro Paese è più che mai necessario.
Aldo Premoli
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