Rileggere il quotidiano con le opere di Letizia Lucchetti. L’intervista
La giovanissima pittrice Letizia Lucchetti ci parla della sua pratica artistica, in cui l’ordinario si ingigantisce. E dove la spensieratezza regna sovrana
La pittura di Letizia Lucchetti (Ancona, 1999) ha la spontaneità di un disegno fatto su un foglio di carta. Lo sfondo, quasi sempre a malapena abbozzato, è un pretesto per far emergere figure tornite, che sembrano tracciate con dei grandi pastelli. Simili a delle statuine, sono loro le vere protagoniste delle opere: a guardarle bene, somigliano a chincaglierie provenienti da un negozio d’antiquariato incantato, ingrandite a dismisura. Ma i grandi formati dei suoi dipinti – e delle figure in essi contenute – non devono trarre in inganno. Le opere di Lucchetti non nascono dall’esagerazione di un ricordo infantile o dalla memoria di una qualche casa dei nonni; al contrario, si tratta di cose a lei vicine, a portata di mano, magari appoggiate su uno scaffale della camera da letto. Piccole cose che diventano grandi, in un’espansione del quotidiano, una dilatazione dell’ordinario e dei suoi limiti. Anche i titoli tendono a un ampliamento dell’opera e delle sue potenziali letture, manifestando una spensieratezza che corrisponde perfettamente allo stato d’animo dal quale la pittura di Lucchetti sembra scaturire.
Intervista a Letizia Lucchetti
Nel tuo lavoro coesistono tensioni diverse: un certo “primitivismo” fatto di figure abbozzate, ma anche pennellate dolci e guizzanti. Quali sono gli autori ai quali guardi e che influenzano la tua pratica?
Ogni volta che mi viene posta questa domanda sono sempre un po’ in difficoltà, come se ogni anno della mia vita avessi una pittura preferita che a volte ho la fortuna di vedere dal vivo. Come Filippo de Pisis, Rose Wylie, Luc Tuymans. Tutte pitture molto diverse tra loro, ma ognuna con qualcosa che mi attrae. Per esempio, in questi ultimi mesi il mio quadro preferito è Play Within a Play di David Hockney.
Ne parlavo un po’ di giorni fa con un mio grande amico pittore, in fin dei conti possiamo ammirare e assorbire a distanza questi grandi nomi della pittura; forse l’unica cosa importante che può influenzare davvero il nostro pensiero e la pittura è solamente la vita che viviamo tutti i giorni, quello che vediamo nelle nostre giornate, i discorsi che si fanno con gli amici per la costruzione di una buona pittura. Ora che vivo in un piccolo paese delle Marche ha senso parlare di qualcosa che non ho vissuto e che non mi appartiene? Basta solo essere onesti con sé stessi.
La pittura è probabilmente il mezzo con più secoli di storia alle spalle: una storia consolidata, conosciuta, analizzata, imitata, contraddetta. Dopo tutto questo tempo, le trasformazioni in pittura si manifestano attraverso spostamenti minimi, millimetrici. Ecco, ti chiedo: in quale direzione hai deciso di percorrere quel millimetro?
Credo di percorrere anche meno di un millimetro, ed è già un passo ambizioso. In alcuni momenti penso di stare ferma sullo stesso punto finché non mi chiedo: ma cos’è importante? Trattare la tela come un foglio di carta o trattare il foglio come una tela? Forse i fogli devono rimanere disegni e le tele devono rimanere quadri, con la loro nobile aura. E quindi a volte tratto la tela come tratto il foglio e viceversa, delle volte no. Faccio quadri che possono essere solo quadri e disegni che non possono essere altro che disegni. Ho diverse scatole nelle quali li divido con scritto sopra: “disegni ok”, “disegni casuali”, “disegni che non si possono dipingere”. Magari tra vent’anni mi renderò conto che i disegni che non si possono dipingere in realtà possono essere quadri. Ma forse lì avrò fatto quel mezzo millimetro in più per poterti dare una risposta più precisa. Per ora mi piace vacillare su questo piccolo punto e cadere ogni tanto da un lato e ogni tanto dall’altro.
Professione artista: l’opinione di Letizia Lucchetti
C’è un momento in cui hai pensato che avresti voluto fare l’artista o, comunque, in cui hai realizzato la tua attrazione per l’arte? Un ricordo, un aneddoto, una piccola epifania…
Non credo ci sia stato un momento preciso, però mi viene in mente questa storiella di quando avevo 10 o 11 anni. Ho un fratello più grande di me di due anni, quando ero appena entrata alle medie lui stava facendo l’ultimo anno. Mi piaceva disegnare e forse mi veniva anche abbastanza bene, con la consapevolezza con cui può disegnare una bambina di quell’età. Per farla breve, mio fratello odiava fare qualsiasi cosa richiedesse una matita o un pennello e io facevo sia i miei che i suoi compiti. Ogni volta che questi compiti venivano riportati in classe, io arrivavo a stento alla sufficienza, mio fratello sempre voti altissimi. Mi ricordo ancora il fastidio di quell’ingiustizia; quindi, forse per ribellione, ho continuato per tutti questi anni. Alla fine, l’ho presa un po’ troppo seriamente questa faccenda dell’arte.
Hai venticinque anni, ma non ti sono mancati riconoscimenti, come la recente residenza nell’ambito del programma Nuovo Forno del Pane promosso dal MAMbo o mostre in gallerie. Come valuti la tua esperienza da artista emergente in Italia? Ti capita mai di confrontarti con i coetanei o i compagni di Accademia? Qual è l’umore della tua generazione rispetto alla condizione di “giovane artista” nel nostro Paese?
Su questo ho pareri contrastanti, che dipendono dai periodi più o meno ottimisti della mia vita. Credo che rispetto a un po’ di anni fa ci sia un’attenzione maggiore ai giovani artisti, non so se questa possa essere solamente una moda passeggera. Ma a noi giovani pittori (o artisti) dà uno spiraglio di luce.
Ogni tanto però mi spaventa l’idea di poter essere risucchiati da qualcosa di molto più grande di noi, di essere quel giocattolo nuovo che puoi ammirare finché non ne troverai un altro con dei colori migliori. Per il momento mi aggrappo alla sola preoccupazione che per me ha senso, e cioè quella di fare delle belle mostre e dei bei lavori, cercando di dimenticare tutte le altre questioni di cui non ho alcuna responsabilità o potere.
Se ne parla spesso, con gli altri amici pittori, alcuni sono più preoccupati, ad altri basta dipingere tutti i giorni in studio per poter essere in pace. Ognuno reagisce a proprio modo. Ho amici che lavorano con la pittura fuori dall’Italia, sicuramente ci sono delle dinamiche migliori per una costruzione di un futuro da artista. In ogni caso l’incertezza del futuro sta lì sotto il tuo letto e ogni tanto nella notte ti fa cadere le coperte di dosso, la mattina ti svegli tutto raffreddato. Però come la maggior parte dei raffreddori della notte passano appena inizia il pomeriggio.
A cosa stai lavorando in questo momento? Hai in programma qualche mostra?
In questo momento non ho nessuna mostra in programma e ti devo dire che mi sta facendo bene lavorare con la consapevolezza che non ho nessuna scadenza, o qualcosa da produrre “per forza”. Ho appena finito di sistemare il nuovo studio, per il momento starò nelle Marche per concentrarmi solo sui prossimi lavori.Sto portando avanti due serie diverse, la prima iniziata in residenza – diversa anche a livello tecnico da tutte le altre –, e un’altra che riguarda tutti gli oggetti che non potrò mai avere. Non so se un giorno ci potrò fare qualcosa o non le vedrà mai nessuno, sono quadri che nascono prima di tutto per me stessa e non per forza per essere mostrati, sono in studio e non urlano a nessuno “guardami sono qui per essere visto”. Per me vivono bene anche così.
Saverio Verini
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