I fiori enigmatici di Beatrice Pediconi sono in mostra a Roma

La galleria z2o di Sara Zanin accoglie nel suo nuovo spazio una mostra floreale con opere caratterizzate da una complessa processualità e dai molti significati nascosti

Fantasmatiche presenze botaniche su medio o piccolissimo formato. Infiorescenze dall’aspetto abiotico, senza luogo né tempo, poiché sempre bianca e mai pratiforme è la dimensione che sono portate ad abitare. I fiori dipinti da Beatrice Pediconi (Roma, 1972), ora in mostra alla galleria z2o di Sara Zanin, sono enigmi insoluti. Lungi dall’assomigliare alle cattive piante – per seducenti che siano i fiori del male, nei versi (Baudelaire) e nei campi (belladonna, oleandro, ricino, mughetto) inducono a un lecito quesito. Sono nature morte o capaci di reviviscenza? 

La mostra di Beatrice Pediconi a Roma

Si tratta della quarta personale in galleria dell’artista, le cui tele e tavole, sono contraddistinte da una pratica multilineare, in costante code-switching. Il corpus della rassegna è, infatti, come l’artista rivela, “il risultato di un processo che esplora una combinazione di pittura, disegno e fotografia. Filamenti di emulsione, sottratti a scarti di Polaroid, sono trasferiti nell’acqua su tela e su carta, entrambe già dipinte con pigmenti di varie tonalità”. D’impatto il minimalismo estremo delle sue effigi, sembra legarsi al rito giapponese dello shinrin-yoku, invito a bagnarsi nel verde, adottato come terapia anti-stress sin dagli Anni Ottanta. L’invito pare lo stesso: un flower-bathing che inoltra la fruizione entro un quieto altrove zen

Beatrice Pediconi e i suoi “fitomorfemi”

L’incertezza delle apparizioni – petali, vestigia steliformi – compongono un insieme di “grafemi, cromemi, elementi minimi”, nelle parole del curatore Antonello Tolve, da riassumersi nel vocabolo “fitomorfemi”. Particole fito e allomorfe, icone ateliche, col sapore di un voluto non finito. Una poetica che sembra riecheggiare il frammento di Georg Christoph Tobler (1738): “Natura! Da essa siamo circondati e avvinti – né ci è dato uscirne e penetrarvi più a fondo. Ci rapisce nel vortice della sua danza e si lascia andare. Recita un dramma per noi; non sappiamo se anch’essa lo vede. È intera, eppure sempre incompiuta”.

Le indagini di Beatrice Pediconi sui fiori

Le indagini dell’artista, che vive a New York, iniziano a Roma con il ciclo Corpi sottili (2006) proseguendo con la serie Untitled (2019) e approdando nel ciclo Nude presentato alla GNAM nel 2023. Dall’humus dei Preraffaelliti – penso a Waterhouse – Pediconi, novella Ofelia, richiama nelle sue opere innumeri fiori selvatici: “la malva e la malva rosa, la margherita bianca, la salvia e il caglio zolfino, la centaurea e la barba di becco, la campanula glomerata e la betonia, la coronilla e la vedovella, la veronica, la vicia cracca e l’amaranto” chiosa Tolve. Anche i titoli sono il risultato di un’accurata ricerca tesa ad inglobare nomi floreali o lacerti di testi, aforismi e riflessioni proprie e di altri artisti e intellettuali. Il titolo stesso della mostra (…senza turbare una stella), è un verso del poeta Francis Thompson. Un lavorio processuale inedito quello di Pediconi, che supera la prassi pittorica tradizionale, sconfina nel concettuale, velandone la semantica e smentendo le prime impressioni.

Francesca de Paolis

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Francesca de Paolis

Francesca de Paolis

Francesca de Paolis si è laureata in Filologia Moderna con indirizzo artistico all'Università La Sapienza di Roma proseguendo con un Corso di Formazione Avanzata sulla Curatela Museale e l'Organizzazione di Eventi presso l'Istituto Europeo di Design (IED). Ha insegnato Storia…

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