A Lucca una mostra per raccontare i protagonisti della Birmania contemporanea
Chi sono gli artisti della scena contemporanea in Birmania? Lo si scopre in questa mostra, che illustra lo stato dell’arte del Paese, rivelando le difficili condizioni politiche e sociali che lo attraversano ormai da decenni
L’opera di Sawangwongse Yawnghwe (Regione dello Shan, 1971), fortemente intrisa di simbolismo, costituisce una delle testimonianze più forti sulla Birmania contemporanea. Alla Fondazione Ragghianti di Lucca va il merito di aver portato in Italia questo interessante artista.
L’artista birmano Sawangwongse Yawnghwe in mostra a Lucca
Da circa quarant’anni vive in esilio perché in Birmania è persona non grata, così come i membri della sua famiglia. Sawangwongse Yawnghwe è nipote di Sao Shwe Thaik, già sovrano del principato di Yawnghwe e primo presidente della Birmania indipendente, poi deposto in seguito al colpo di Stato militare del 1962 e assassinato in prigione. Il padre fondò un movimento di resistenza, ma negli Anni Ottanta fu costretto a lasciare il Paese con la famiglia. E Sawangwongse è dunque cresciuto in esilio, fra Thailandia, Canada e Paesi Bassi. Malgrado ciò, la Birmania è rimasta parte del suo essere. Avendo finalmente la possibilità di esprimere liberamente il suo pensiero, egli ha voluto dare voce alle sofferenze del suo popolo attraverso la pittura.
Il percorso espositivo sull’arte della Birmania alla Fondazione Ragghianti di Lucca
Attraverso una sessantina di opere, fra dipinti e grafiche, la mostra esplora la poetica artistica di Yawnghwe, la cui fonte principale d’ispirazione è la situazione sociale e politica della Birmania, documentata però senza toni sensazionalistici o retorici, utilizzando invece un colto simbolismo che ricorda sia Francisco Goya sia Cornelius Baba. L’influsso del primo ricorre soprattutto nelle opere di grafica – una sorta di “album degli orrori” – rappresentati però in chiave metaforica, che ne attenua la crudezza.
I dipinti, quasi tutti di grandi dimensioni, creano suggestioni maggiori, in virtù di una tavolozza cromatica spesso scura e di uno stile non facilmente etichettabile, che ricorda l’espressionismo e appunto le atmosfere, anch’esse simboliche e in parte grottesche, di Baba, anch’egli fiero oppositore del regime dittatoriale romeno. I monaci buddisti – protagonisti di numerose marce per la democrazia – e l’eroina Aung San Suu Kyi, le torture sui dissidenti nelle carceri e l’equilibrio degli interessi economici internazionali sulla Birmania. Questi sono i soggetti principali di questa saga pittorica dedicata alla Birmania, in cui si ritrova un po’ del fatalismo che caratterizza il sentire dei popoli indocinesi. Ma la lunga permanenza in Europa, ha avvicinato Yawnghwe anche al mondo artistico e letterario del Vecchio Continente. Misurandosi con i romanzi Le Chef d’œuvre inconnu di Honoré de Balzac e L’Œuvre di Emile Zola, l’artista affronta il rapporto fra immagine e realtà e il conflitto fra arte e vita, attraverso uno stile da cui emerge un impeto creativo che sembra non trovare pace.
Il dramma della Birmania in mostra a Lucca
Affacciata sul Golfo del Bengala e sul Mar delle Andamane, la Birmania vanta una storia plurimillenaria che ha visto avvicendarsi numerosi regni e fu persino invasa dalle orde di Gengis Khan; dopo secoli di tenaci lotte per l’indipendenza, il popolo birmano capitolò sotto i colpi delle armate della Regina Vittoria, e fra il 1886 e il 1937 fu una provincia dell’India britannica. Invasa anche dai Giapponesi nel corso della Seconda guerra mondiale, ottenne l’indipendenza soltanto nel 1948, ma già nel 1962 un colpo di Stato militare inaugurò una lunghissima fase di oppressione che ha conosciuto soltanto brevi pause, e ancora oggi costituisce la realtà del Paese. Il fallimento della “via birmana al socialismo” ha portato il Paese (uno dei più floridi della regione) sul baratro della povertà. Ogni forma di protesta per un cambio di rotta è sempre stata repressa nel sangue, così come ogni tentativo di dissenso. Il Paese è inoltre sconvolto da numerose guerre civili, scoppiate nelle regioni separatiste, fra cui quelle di Karen, Kachin e Shan. Una possibile svolta democratica è stata interrotta nel 2016 da un nuovo colpo di Stato, dopo che il partito di Aung San Suu Kyi vinse le elezioni concesse dalla giunta militare. Della Birmania, in Italia si parla solitamente poco, e per lungo tempo i reportage di Tiziano Terzani sono stati la migliore e quasi unica fonte d’informazione su una situazione sociale e politica di grande sofferenza. E oggi – quando la detenzione di Aung San Suu Kyi non fa più notizia – la mostra della Fondazione Ragghianti contribuisce a riportare all’attenzione dell’opinione pubblica la tragica situazione di un popolo oppresso da decenni.
Niccolò Lucarelli
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