A Prato il dissacrante artista Giulio Alvigini mostra la sua commedia dell’arte contemporanea
La pratica ironica e dissacrante del giovane artista Giulio Alvigini va in mostra nello studio BBSpro di Prato. Esponendo tutte le contraddizioni del sistema dell’arte
Fra il dire e il fare c’è di mezzo l’essere. La differenza fra essere artista o fare l’artista può sembrare cosa da poco ma non lo è affatto. Il dibattito torna più o meno di moda a tempi alterni. Poi arriva Giulio Alvigini (Tortona, 1995) che in maniera ironica e dissacrante alza la mano e dice la sua. In una mostra curata da Davide Sarchioni e in collaborazione con TerraMedia, si sviluppa all’interno degli spazi espositivi dello studio BBSpro di Prato – luogo ormai deputato ad ospitare eventi artistici – un percorso circolare che pone in essere una commedia senza via d’uscita.
La mostra di Giulio Alvigini a Prato
La trama si svolge mettendo a nudo le relazioni dei vari protagonisti del mondo dell’arte. I primi tirati in causa sono gli artisti. Una bandiera con l’immagine stampata del Quarto Stato di Pellizza Da Volpedo, con la scritta “art workers=artworks”, diventa loro vessillo. Uniti formano una nuova classe sociale consapevole di mutare loro stessi in un’unica opera d’arte. I secondi protagonisti sono gli addetti ai lavori. Un cancello in stile “lavori in corso” con un cartello di divieto, appunto, ai non addetti ai lavori, separa lo spazio espositivo dal resto dell’edificio, sede degli uffici operativi dello studio.
I protagonisti del sistema dell’arte secondo Giulio Alvigini
Ma chi sono gli addetti ai lavori? Un buglione elitario all’interno del quale galleggiano figure dai tratti psicosomatici più variegati e che vivono di ciò che la massa artistica produce. Alcuni esempi? Galleristi, curatori, storici dell’arte, giornalisti, direttori di musei, mercanti, ecc. Terzi e ultimi, ma non per importanza: i collezionisti. In una parete bianca una frase enuncia il motto di tipo cartesiano: “colleziono dunque sono”. Il collezionista, con il suo potere d’acquisto, troneggia su tutte le altre figure tanto da potersi permettere di usare le opere d’arte come fossero carta da parati. Ecco quello che sembrerebbe il finale della commedia dell’arte contemporanea: un’enorme parete rivestita di carta con il suo epitaffio scritto con una bomboletta spray di colore nero: “L’arte è carta da parati per ricchi” (2024).
Giulio Alvigini prende in giro il sistema dell’arte
In un periodo storico come il nostro, dove le piccole gallerie e non solo stanno faticando non poco a restare aperte e le case d’asta segnano record negativi per la prima volta nell’epoca post covid, Dio benedica Giulio Alvigini: sul suo profilo social @makeitalianartgreatagain, l’artista crea meme che ironizzano su coloro che fanno parte del mondo dell’arte contemporanea e sul sistema stesso. Alvigini, concentrandosi sul concetto di opera-carriera, non può scappare dalle logiche di questo sistema autoreferenziale che, per dirla con le parole di Max Collini, tiene un atteggiamento dai pensieri troppo alti e scollegati, creando e fagocitando sé stesso in una iterazione infinita. Non potendo scappare da esso, la miglior cosa è prendere coscienza di tutto ciò con uno sguardo disincantato e disilluso, rispolverando le parole che Jep Gambardella pronuncia in una scena del film La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino: “Siamo tutti sull’orlo della disperazione. Non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un poco in giro…O no?”.
Francesco Funghi
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